Quel rock “moderno” – qualsiasi cosa significhi – che punge sotto pelle ed emoziona.
Un gruppo rock composto da due soli elementi fa figo, indubbiamente, ed è anche piuttosto utile a livello pratico. Quelli bravi bravi (e anche un poco fortunati), tipo White Stripes o Black Keys, finiscono addirittura per fare tendenza; tutti gli altri risparmiano sulle spese dei tour e si dividono fette più grosse degli ingaggi, perlomeno.
I ’68 – magari non il nome più azzeccato per “googlare”, ma tant’è – hanno alle spalle un passato nella scena metalcore americana dello scorso decennio, nella figura del cantante e chitarrista Josh Scogin (ex Norma Jean e The Chariot).
Un retaggio di rabbia & energia che emerge in modo chiaro anche in buona parte del secondo album Two Parts Viper.
Tuttavia, la band ci piace davvero quando propone qualcosa di alternativo alla pur apprezzabile commistione di Nirvana, Queens Of The Stone Age e Rage Against The Machine che la caratterizza, a prima vista.
Qui, per esempio, si cimenta in una specie di bluesaccio moderno che gronda amarezza e disillusione tipicamente americane. Il risultato finale è a dir poco azzeccato.
Meno muscoli e più “lacrime”: il nostro consiglio disinteressato per il futuro dei ’68.