Tutte le soddisfazioni dell’#homebrewing.
I tre fratelli Carney hanno le radici lunghe, solide e ben piantate in un posto dell’anima che sta a metà tra le Blue Ridge Mountains (Virginia) e i Black Sabbath. Un posto che se stesse in Norvegia, dalle parti di Trondheim, si chiamerebbe Motorpsycho.
Arrivati al decimo disco sotto l’ala della Thrill Jockey, hanno ormai maturato — a suon di badilate da tre chili di pesante, profondo e pestato acid-rock — una fanbase così devota e una consapevolezza dal sapore improvvisato e blues che li ha portati a quel punto di non ritorno in cui potrebbero fare più o meno qualunque cosa senza perdere nemmeno un grammo di credibilità di fronte al proprio, fedele pubblico.
Per dire, a sentir loro, avrebbero passato gli ultimi tre anni a produrre birra artigianale fatta in casa, eppure questo non ha minimamente intaccato (sempre di artigianato purissimo si tratta) il loro tocco nel comporre cavalcate psych che fanno il percorso inverso del peyote, la cui assunzione regolare — altro che luppolo! qualcuno maligna — sia l’unica spiegazione plausibile per la naturalezza con cui i loro riff ossessivi ti ampliano, diciamo, le vedute.
Easy Does It è solo una pillola del blister da otto uscito quest’anno e battezzato con un titolo meraviglioso come Dialectic of Ignorance: un’esplorazione espansa, pensata e cucinata a fuoco lentissimo, del modo migliore per macinarti prima la pancia, poi il midollo spinale e solo alla fine salire a vedere cosa è rimasto del cervello.
In pratica una scommessa stoner con cui fregare una volta per tutte il fantasma dei Pink Floyd, promettendo di regalargli finalmente un distorsore degno di questo nome, a patto che metta da parte tutte quelle menate filosofiche e quelle supercazzole incomprensibilmente anni ‘70.
Insomma, una buona Pale-Ale e vedrete che anche a George A. Reisch gli passa la paura.