Nadine Shah: la musulmana di seconda generazione che coi pregiudizi ci fa dei gran riff.
Una constatazione amara, prima di cominciare: non è un bel momento per le voci femminili. Una dichiarazione forte, lo so, in presenza del Natale, quando è ovvio e incontrovertibile che esista solo Mariah Carey.
Voci femminili ce ne sono; ma sono vocine. Tutte dolenti emule di Enya. Tutte flebili e sensibilone. Mancano le vocione. Quelle cartavetrate, ubriache, profonde.
Quelle che in studio non subiscono il trattamento lucidante dell’autotune. Per questo e altri motivi, quando ho sentito di nuovo la voce di Nadine Shah, mi sono cosparsa di luce.
Cantautrice inglese con madre norvegese e papà pakistano, Nadine Shah dal 2012 ha sfornato due Ep e tre album. L’ultimo, Holiday Destination, è già dalla copertina, una ferita aperta.
Nadine è una musulmana di seconda generazione, residente nel nord dell’Inghilterra: la categoria di riferimento per chi ama riunire in un sol gruppo quelli che si fanno esplodere o che stendono gente a caso nelle piazze, a bordo di camionette o fuoristrada. Ed è questa sua appartenenza, con tutti i pregiudizi che ne conseguono, la materia grigia dei suoi testi.
Il tutto incorniciato da pezzi carichi di post-punk/industrial, mirabilmente governati da Ben Hiller, l’uomo al comando dell’indie-rock inglese, che con la cupezza si paga il mutuo da almeno un decennio (Elbow, The Horrors, Editors, Doves, ma soprattutto Depeche Mode).
La speranza è che, nel dicembre del 2018, ci si ritrovi qui a celebrare la grande annata di Nadine, e il suo definitivo sdoganamento.
Basta però che non la chiamiate “Cantantessa”.