Il cane perde il pelo ma non il vizio.
Una credenza popolare inglese sostiene che per curarsi dal morso di un cane rabbioso si debba prenderne un pelo e metterlo nella ferita. L’ espressione “hair of the dog” viene anche utilizzata per indicare il goccetto di alcool da bere la mattina dopo una sbronza per limitare gli effetti della sbornia. Semplificando: contrastare il male usando il male stesso, ripagare con la stessa moneta, affrontare le avversità invece di fuggirle, non arrendersi mai.
↦ Leggi anche:
Ask the Dust: Dark Entries
Per il secondo disco, la band cambia nuovamente etichetta e si accasa alla più facoltosa Beggars Banquet. Anticipato dal singolo The Passion of Lovers, Mask continua la tradizione di album dalla creazione travagliata. La band ha passato diverso tempo in studio con Mike Hedges dietro la consolle, chiudendo più volte l’album per poi tornare sui propri passi, rimescolando tracklist e cambiando mix ai brani.
Il risultato finale mostra un nuovo volto dei Bauhaus, tra intuizioni Bowiane (la funkeggiante Kick in the Eye), cavalcate a perdifiato guidate dal sax acido di Ash (Dancing, In Fear of Fear) e filastrocche schizoidi (Of Lilies and Remains) che vanno ad affiancarsi a stilemi più prettamente evocativi e horrorifici (Hollow Hills, Mask).
Spiccano su tutte la saltellante nenia drammatica di The Man with the X-Ray Eyes (la cui versione dopata dal vivo è da annali del post-punk) e soprattutto il brano che apre il disco: Hair of the Dog, forse il pezzo più violento e sinistro mai composto dal quartetto di Northampton, corredato da un testo fiero e duro, dove la chitarra di Ash fa da perfetto contraltare al cantato epico di Murphy. Sia live che in studio resta una delle vette ineguagliate del goth quando ancora era aggressivo, figlio del punk da cui proveniva, prima che lo stesso diventasse una lagna per piagnoni.