Erano una delle tante band della west coast degli Stati Uniti. Erano un promettente gruppo di compagni di scuola di Bellevue, un sobborgo di Seattle, riusciti a strappare un contratto alla EMI al primo EP. L’ultimo loro disco, Rage for Order, aveva venduto discretamente: ma certo nessuno si immaginava cosa il successivo, un concept intitolato Operation: Mindcrime, avrebbe rappresentato. Al momento dell’uscita del disco, il leader Chris DeGarmo aveva solo 25 anni. Era il 3 maggio del 1988.
Parlereste di rock senza citare Jimi Hendrix? O di jazz senza tributare il dovuto a Miles Davis? I grandi nomi dell’heavy metal, quelli che qualunque profano saprebbe farvi, sono i soliti: Iron Maiden, Metallica, Black Sabbath; i più illuminati arriveranno fino a Slayer e Pantera, già in forse i Sepultura. Ma la verità è che parlare di heavy metal senza citare i Queensrÿche sarebbe altrettanto grave che dimenticare uno dei nomi precedenti. Eppure, definire i Queensrÿche una metal band tout court sarebbe limitante nei confronti di una formazione tra le più dotate che la storia del rock abbia partorito.
Una band che, partita dalle solide influenze priestiane dei primi lavori (l’EP omonimo e The Warning), ha saputo sperimentare e innovare con l’avanguardistico Rage For Order (elettronica e metal nel 1986!?), poi scrivere quello che a detta di molti è “l’album metal definitivo” come Operation: Mindcrime; ha quindi scoperto la ricetta del successo con Empire, e ha infine firmato uno dei migliori dischi prog rock degli anni Novanta con Promised Land. E se si pensa che i quattro dischi fin qui citati sono nati l’uno di seguito al’altro, si capisce come il periodo intercorso tra il 1986 e il 1994 abbia significato per la band di Seattle una stagione creativa eccezionale, priva com’è stata di alcun cedimento (cosa che invece avverrà successivamente, e in particolare con l’uscita di DeGarmo dal gruppo; ma questa è un’altra storia, e anche piuttosto triste; ma soprattutto, è un altro decennio…).
Se appare indiscutibile la bellezza sognante di un disco rock come Promised Land, se è innegabile la carica innovativa di un’opera come Rage for Order, l’apice della produzione heavy di Geoff Tate, Chris DeGarmo, Michael Wilton, Scott Rockenfield ed Eddie Jackson non può che essere rappresentato da Operation: Mindcrime: probabilmente la più importante metal opera mai scritta – e che in un più ampio contesto rock non teme di stare alla pari con pietre miliari come The Wall dei Floyd, Tommy degli Who o The Lamb Lies Down On Broadway dei Genesis.
Come tutte le migliori opere artistiche, infatti, anche Operation: Mindcrime rappresenta un’esperienza fruibile su più livelli, capace di rivelare sempre qualcosa di nuovo e inseplorato man mano che si scende in profondità con gli ascolti.
A un livello quasi immediato colpisce la monoliticità di un disco che racchiude in sé tutti i canoni stilistici di quello che il termine heavy metal poteva significare nel 1988; canoni che vengono presi, smontati, assimilati e riassemplati – in una parola: riscritti – e utilizzati per forgiare un manifesto definitivo delle sonorità, dello stile, dell’estetica e dell’immaginario metal. La voglia di sperimentare, manifesta in un disco come Rage for Order, è qui declinata in maniera diversa: il lavoro non è tanto sulle sonorità, ma sul comporre la perfetta metal song, trovare l’equilibrio ottimale tra la potenza delle chitarre, l’espressività del cantanto e delle liriche, la melodia “anthemica” dei ritornelli.
In questo percorso, centrali sono il supporto del produttore Peter Collins, che con Operation: Mindcrime inizia una carriera di assoluto successo (lavorerà successivamente con Alice Cooper, Bon Jovi, ancora con i ‘Rÿhe anche su Empire, con Brian Setzer Orchestra, Jewel, Gary Moore e diversi altri, spaziando tra rock, pop e country); e quello di Michael Kamen, altro leggendario compositore e produttore, e autore in questo caso delle orchestazioni di Suite Sister Mary.
Ma in ultima analisi, la verità è che pur ben coordinati, prodotti e arrangiati, Tate, DeGarmo e Wilton (i principali compositori) semplicemente partoriscono un disco di canzoni eccellenti. Brani come Revolution Calling, Spreading the Disease, The Mission, Breaking the Silence, I Don’t Believe in Love e la stessa title track sono quanto di meglio il metal abbia avuto da offrire come contributo alla storia della popular music: sia per i livelli di songwriting, sia per la capacità di sintetizzare un’intera galassia stilistica che va dai Priest ai Rush, dai Maiden ai King Crimson transitando, sia pure in tono minore, per le lunghe suite pinkfloydiane. E sia, infine, per l’interprestazione fuori dal comune di cinque musicista dalla tecnica eccellente – su tutti l’ugola versatilissima di Geoff Tate (un interprete, un performer, come nella migliore tradizione progressive, non solo un cantante) e la coppia di chitarristi DeGarmo / Wilton, complementari al 100%.
A una seconda e più profonda lettura, si penetra invece dentro il compelsso plot di sapore vagamente gibsoniano in cui la vicenda di Operation: Mindcrime si dipana. Colpi di scena, flashback, fabula e intreccio asincroni, personaggi a tutto tondo e citazioni di lettertura e cinema di genere (cyberpunk, dark epico) rendono la trama di Operation: Mindcrime un’esperienza unica nel suo contesto. La vicenda, invero non così facilmente intelleggibile basandosi esclusivamente sulle liriche, ruota attorno al triangolo costituito da Nikki (un nome che denuncia tutto il suo essere anni Ottanta…), da Mary e dal misterioso Dr. X.
Il primo – Nikki – è l’emblema dell’antieroe, un protagonista suo malgrado, una figura centrale nonostante le sue debolezze e la sua fragilità di tossicodipendente. Plagiato da Dr. X attraverso l’ipnosi e ulteriori profferte di droga, Nikki entra al servizio dell’organizzazione di cui X e l’allucinato leader spirituale e strategico. Un’associazione segreta che ha lo scopo di destabilizzare il sistema attraverso una serie di omicidi di personalità influenti (politici e religiosi), pronte ad essere rimpiazzate da membri dell’organizzazione stessa. In questo disegno criminoso, Nikki, reso quasi catatonico dall’ipnosi (la parola “paralizzante” è appunto “mindcrime”, che Dr. X gli sussura per telefono prima di ogni omicidio), diventa l’esecutore materiale dei delitti, di cui progressivamente però assume una confusa e ambigua consapevolezza (“mi hanno dato una missione / non conosco ancora bene il gioco (…) / Sono il nuovo messia / L’Angelo della Morte armato di pistola”, da Speak).
Nikki si dibatte nella sua condizione succube e schizoide, tra la missione che gli è stata imposta e l’amore per Mary, una ex prostituta, ora suora, “redenta” da un religioso – Padre William – che, in cambio della sua opera salvifica, “la prende una volta alla settimana / sull’altare come un sacrificio” (da Spreading the Desease).
“Geoff viveva a Montreal, a quei tempi”, ricorda Scott Rockenfield in un’intervista a Decibel Magazine, in cui ripercorre il periodo di lavorazione del disco. “Montreal era teatro di tutta una serie di eventi particolari, specie nell’ambito della vita notturna, e alcuni dei personaggi del disco furono ispirati proprio da persone che Geoff aveva conosciuto. Il personaggio di Sister Mary era basato su una persona che aveva visto più volte girare per i club, vestita da suora.”
Quando Dr. X chiede a Nikki di uccidere Mary, la fedeltà alla causa di questi comincia a vacillare. In prede alla lacerazione più totale, nel momento topico della vicenda (la struggente Suite Siester Mary è opportunamente introdotto dal Dies Irae di Verdi) Nikki infine cede e confessa alla ragazza il piano di cui è parte (“Non abbiamo ancora tempo di riposare / Dobbiamo fermare il suo gioco / Prima che la pazzia esploda nella sua risata finale”, da Suite Sister Mary).
La confessione di Nikki fa precipitare gli eventi: il ragazzo scopre che dall’organizzazione di Dr. X non si esce vivi (“Ne ho avuto abbastanza e voglio ANDARMENE!”, grida Nikki nella velocissima The Needle Lies; “Non puoi andare via adesso!”, gli risponde serafico X); Mary viene uccisa (in un dvd successivo al disco verrà in realtà rivelato che si è uccisa quando Dr. X ha minacciato di uccidere Nikki), e Nikki arrestato dalla polizia.
Distrutto dalla morte di Mary, Nikki viene paradossalmente accusato dell’omicido di quest’ultima: “Mi svegliai di colpo / Sotto la sorveglianza dell’occhio di una telecamera (…) / La mente criminale trovata sulla scena del crimine / Ammanettato e cieco, non sono stato io”, canta Geoff Tate in I Don’t Believe in Love, uno degli anthem migliori del disco.
La vicenda si avvia verso il suo non-epilogo: distrutto nel fisico minato dalla droga e nell’animo, ferito a morte dagli eventi e dai rimorsi, Nikki, ormai resosi irriconoscibile a se stesso (Eyes of a Stranger) è preda della più angosciante solitudine. In My Empty Room sussurra: “Ora chi verrà / a lavar via i miei peccati / pulire la mia stanza, prepararmi da mangiare / essere mia amica?”. Gli inequivocabili rumori di una corsia di ospedale ci riportano all’inizio dell’opera, dove Nikki aveva iniziato il suo colossale flash-back.
Solo una lettura ancora più profonda riesce ad andare al di là della fiction e cogliere gli elementi concreti e reali che fanno da sfondo alla storia, in realtà una condanna senza appello della corruzione e dell’ipocrisia dell’America reaganiana. “Operation: Mindcrime è sostanzialmente un’opera che ruota attorno al concetto di manipolazione delle masse”, racconta Chris DeGarmo in un’intervista nel 1988. “Ha a che fare con la preccupante posizione dei media, oggi utilizzati come macchina di propaganda: dagli scandali degli evangelizzatori televisivi all’affare Iran-Contra, all’atteggiamento del Governo che sembra dire ‘zitti zitti, nascondiamo queste cose’! Tenere la massa ignorante sulle cople della nostra società, sulla mancanza di educazione, sulla dipendenza dalle droghe. Questo è il loro gioco”.
Spreading the Desease non si limita così a introdurre il personaggio sofferente di Mary, ma si erge a denuncia senza appelli di una società e di una cultura (o non-cultura) assai diffusa, ieri come oggi: “La reiligione e il sesso sono giochi di potere / manipolano le persone per i soldi che pagano / si vendono l apelle, vendono Dio (…) / mentre noi paghiamo per le guerre in Sud America (…) /Mentre le banche si arricchischino / E i poveri restano tali / E i ricchi lo diventano ancora di più / E i politici intascano tangenti / Per guardare dall’altra parte / Mentre una minoranza domina l’America”
Ai tempi del maccartismo, i ‘Ryche avrebbero fatto fatica a trovare a suonare al pub sotto casa.
Nonostante la buona accoglienza della critica, Operation: Mindcrime all’inizio faticò non poco a fare dei numeri, al punto che pur sognando un tour di supporto adeguato all’opera, la band si vide proporre solo alcune comparsate di prestigio, aprendo per alcune date dei Metallica e dei Def Leppard. Quello che cambiò tutto fu il video di Eyes of a Stranger, trasmesso su MTV, il cui successo inaspettato fece scoprire agli appassionati di hard rock e heavy metal un nuovo astro nascente. Operation: Mindcrime divenne disco d’oro a un anno dall’uscita, nel 1989, e disco di platino nel 1990.
Empire, uscito proprio nel 1990, fu il disco della consacrazione definitiva. Meno ambizioso del precedente, almeno dal punto di vista lirico, ma pieno di ottime canzoni e alcuni singoli letali: Silent Lucidity, forse la canzone più famosa dei Queensryche, meraviglioso tributo ai Floyd, appartiene proprio a questo disco.
Poi… poi fu il grunge.
Movimento sotteraneo per anni, il fenomeno esplose in tutta la sua potenza nel 1991: in uno stesso anno uscirono pietre miliari del genere come Nevermind dei Nirvana, Ten dei Pearl Jam, Badmotorfinger dei Soundgarden. Un fenomeno che con i Queensryche e il loro prog/hard/metal sofisticato ed intellettualoide non c’entrava assolutamente niente. Un fenomeno come un virus, in grado di mutilare, annichilire, decimare legioni di band rappresentanti di quel certo tipo di metal. Un virus, per amara ironia della sorte, nato e fortificatosi proprio a Seattle. E alle camicie di flanella e scarponi da boscaiolo i ‘Rÿche seppero rispondere inizialmente solo in un modo: andando dritti per la loro strada.
Promised Land, del 1994, rallenta i ritmi e pone l’accento sulla dimensione progressive della band. E’ un altro disco formidabile, ma ormai il destino del mondo, o quanto meno delle classifiche di vendita, è segnato. Le vendite non sono in linea con quelle dei dischi precedenti, e il futuro della band appare tutto meno che roseo.
Per questo il disco successivo fatica a nascere, e quando esce, suona come una resa: quando Hear in the New Frontiers viene pubblicato, nel 1997, i fedeli fan della band trovano inedite contaminazioni alternative rock; ma soprattutto non trovano più alcuni degli elementi chiave del suono del gruppo: i riff elaborati, i solo della coppia DeGarmo / Wilton, la potenza sonica, i chorus dalle linee melodiche elaborate ma definite.
Alla fine del 1997, Chris DeGarmo lascia la band.
I Queensrÿche sono morti, ma non lo sanno: Geoff Tate prenderà in mano le redini del gruppo inanellando una lunga serie di lavori mediocri e scritti con musicisti estranei al nucleo storico, e guastando progressivamente i rapporti con il resto della band. Scott Rockenfield e Mike Wilton gli daranno il benservito nel 2012, sostituendolo con Todd LaTorre dei Crimson Glory. Una buona cover band dei magnifici tempi che furono.
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