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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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1978, The Kick Inside: l'esordio di Kate Bush.

Un disco perfetto a soli 19 anni? Fatto.

Lei la mette giù così: “Avevo scritto almeno duecento canzoni che potevano finire su quel disco. Ne scegliemmo tredici, e le registrammo. Fu tutto molto veloce”. Semplice no? The Kick Inside nasce così: da una sedicenne che ha già un repertorio sterminato, e che incontra sulla sua strada David Gilmour. Il quale rimane impressionato a tal punto che… No, niente spoiler.

Il momento esatto in cui finirono gli anni ‘70

Una canzone di quattro minuti e ventotto secondi su un’anima inquieta che torna in una notte di tempesta a perseguitare il proprio amante fedifrago: Wuthering Heights esce il 20 di gennaio del 1978. È il primo singolo scritto e interpretato da una donna a raggiungere la prima posizione in classifica nella storia della musica inglese. La donna in questione si chiama Kate Bush, ha diciannove anni, è figlia di un medico di campagna e ha scritto quella canzone quando di anni ne aveva sedici.

Wuthering Heights scalza dalla testa della classifica Take a Chance on Me, degli ABBA.

Fate un esperimento. Qui, adesso. Smettete di leggere, guardate qui sotto: ascoltate Take a Chance on Me e poi a seguire Wuthering Heights. Guardate i video originali, girati quarant’anni fa. Fatelo ora, o non capirete di cosa stiamo parlando.

“Take a Chance on Me”, Abba. Decisamente le coreografie non sono state studiate da Lindsay Kemp.
“Wuthering Heights”. La EMI voleva far uscire come singolo “James and the Cold Gun”, forse il brano più convenzionale dell’album, ma Kate si impuntò per esordire invece con “Wuthering Heights”. I fatti le daranno ragione.

Ispirato a un classico del gotico (classico, ma atipico: se siete stati su Marte fino a ieri, il riferimento è ovviamente all’omonimo romanzo del 1847 di Emily Brontë), Wuthering Heights è la perfetta vetrina per l’estensione vocale di quattro ottave della diciannovenne Kate Bush, dove la sua voce viene usata come un qualunque altro strumento della band.

La voce solista in Wuthering Heights non è ciò che il pubblico si aspetta. Soprattutto non dopo l’intro di pianoforte. Non è così che dovrebbe andare. Le cantanti da hit parade non cantano così, una voce pop non viene modulata a quel modo, per radio non si è mai sentito nulla del genere. È diverso. Troppo diverso. In questo, Wuthering Heights rompe la tradizione quanto e più di qualunque rutto punk orchestrato da Malcolm McLaren.

Kate Bush all’esordio, nel 1978

Alcuni critici ammettono di sentirsi fisicamente a disagio, per quella voce. A complicare le cose c’è la natura fluida della narrazione. Kate Bush racconta una storia utilizzando una scrittura particolarmente dinamica, nella quale il punto di vista passa da un personaggio all’altro, e la voce dell’artista è la voce di più personaggi diversi, che si intrecciano e si alternano.

Le canzoni da hit parade non sono mai state così.
Le donne non hanno mai cantato così.
Non in quel modo, non con quella voce.
Le donne cantano di amori infelici e di nostalgia, come Carly Simon, come Carole King, o come Joni Mitchell, non di spettri vendicatori.
È il 20 Gennaio 1978, e gli anni ‘70 sono finiti.

David Gilmour come talent scout

Wuthering Heights è il primo singolo tratto da The Kick Inside rilasciato dalla EMI Music il 17 di Febbraio del 1978. L’album è il risultato di quasi due anni di lavoro di incisione e contiene tredici canzoni scritte nei sei anni precedenti da Kate Bush.

Kate Bush è arrivata sedicenne alla EMI grazie a David Gilmour, che compare come produttore esecutivo su due delle tredici tracce, mentre il resto della produzione è a cura da Andrew Powell, storico collaboratore, produttore e arrangiatore per gli Alan Parsons Project. Gilmour l’ha scoperta attraverso il passaparola. La ragazzina ha due fratelli che suonano, ma in famiglia è lei quella ad essere ammantata dall’aura del genio. Kate scrive e compone i propri pezzi, e suona, da quando aveva tredici anni. Ha fatto un nastro con una cinquantina di brani, ma finora nessuna casa discografica ha mostrato interesse per il suo lavoro. Gilmour la incontra, è debitamente impressionato, le finanzia un demo che fa arrivare alla EMI; e la EMI versa a Kate 3.500 sterline di anticipo, e la ragazza si impegna a lavorare sul proprio materiale per almeno un anno, prima di entrare in studio una volta maggiorenne.

Il sodalizio tra Kate Bush e Gilmour continuerà negli anni. Qui siamo nel 1985, David Gilmour divide il palco con la band di Bush, suona la chitarra, fa i cori. L’ultima volta che aveva suonato e fatto i cori per qualcuno era per Roger Waters.

In un insolito connubio di rapacità commerciale e libertà creativa, il contratto assicura alla EMI l’esclusiva di una nuova artista, ma le permette di crescere e sbocciare in piena autonomia: “lavorare sul proprio materiale”, per Kate Bush significa leggere un sacco di libri, scrivere altre canzoni, superare brillantemente gli esami scolastici, fare un tour dei pub con la sua KT Bush Band per “farsi le ossa”, andare a studiare danza e mimo con Lindsay Kemp - un’esperienza che le ispirerà Moving, il pezzo col quale si apre The Kick Inside.

Lindsay Kemp e Kate Bush in uno scatto di Guido Harari, fotografo italiano autore di “The Kate Inside”, libro fotografico sulla Bush.

Kemp, la Brontë e Brecht

Il risultato finale è un disco che trae ispirazione non solo da Kemp, ma anche da Emily Brontë, dai lavori di Gurdjeff, da Brecht, dalle ballate tradizionali inglesi e dalla passione dell’autrice e cantante per il paranormale. E tuttavia Kate Bush non parla di sé, dei suoi problemi, della sua vita. Non c’è nulla di intimo e confessionale in The Kick Inside. Si tratta di quadri, di racconti, di storie, di narrativa, non di autobiografia. Gotico in senso letterario più che musicale, The Kick Inside si apre con uno stralcio di canto delle balene a cui fa seguito una canzone ispirata a Lindsay Kemp, si srotola fra sensualità accennate, fantasmi vendicativi, esperienze paranormali e falsi ricordi di notti berlinesi, e si chiude con una storia di incesto e omicidio ispirata a una murder ballad.

“The Kick Inside” uscì con copertine differenti in Europa, negli USA e in Giappone. Questa è la copertina del mercato nipponico - e segnatamente la nostra preferita

Tutte le canzoni del disco sono legate alla fisicità, vissuta o negata, reale o immaginata, con la sessualità e la sensualità femminili a fare da filo conduttore, insinuata e suggerita dalla voce di Kate Bush. Sono canzoni sui corpi e sulle menti che li animano, pensate come rappresentazioni visuali, balletti, teatro, movimento.

Alla ricchezza e coerenza tematica si accompagna una grande varietà musicale. Kate Bush ha ascoltato David Bowie e i Pink Floyd, certo, i Beatles e i Genesis, ma ha anche dimestichezza con Delius e Elgar, con la musica contemporanea, con tradizioni esotiche come la musica araba o la musica indiana o il reggae.

La varietà complessiva dell’album si riassume anche nella varietà di ciascun brano, in cui spesso melodia, ritmo e testo paiono in conflitto, ma funzionano. Gli strumenti vengono selezionati per le loro sonorità e per i richiami psicologici: il clavicembalo “spettrale” in Wuthering Heights, l’organetto da fiera in Kite, il pianoforte che richiama “Ai Confini delle Realtà” negli stacchi di Strange Phenomena.

La diversità è ciò che garantisce probabilmente al disco la sua longevità. The Kick Inside è invecchiato benissimo perché è strano, misterioso e ricco di sorprese, di stimoli. Per annoiarsi ascoltandolo bisogna essere morti.

“Moving” è ispirato al periodo passato con Lindsay Kemp, uno dei più noti coreografi al mondo e autore di numerose coreografie anche della stessa Kate Bush.
Kate Bush canta “Kite” dal vivo, nel 1978. E’ la sua prima apparizione in televisione.
“Strange Phenomena” fu il sesto e ultimo singolo tratto da “The Kick Inside”. La performance fu registrata in occasione di uno speciale promosso dalla TV danese per pubblicizzare l’apertura al pubblico del “Castello infestato”, nuova attrazione del parco divertimenti di Efteling, in Danimarica.

Alle radici dei video clip

Con le sue intricate presentazioni drammatiche a Top of the Pops e con il prototipo di ciò che in futuro saranno i video musicali a spingere l’album, molti critici liquidano Kate Bush come una “media artist” - una che rende il massimo in studio, con effetti e post-produzioni, ma che rischia di deludere dal vivo.

La EMI è ansiosa di rientrare del proprio investimento ma non sa come venderla, vuole puntare su tutine attillate e giacche borchiate, la vorrebbe “più rock”. Ma la sua prima tournée, 24 date frutto di mesi di prove estenuanti, è un trionfo, e aggiunge un tassello alla natura “transmediatica” del lavoro di Kate Bush, che sul palco porta canzoni e coreografie, mimo, magia da palcoscenico, poesia, giochi di luci e diciassette cambi di costume. Per dare forma alle sue idee è necessario sviluppare nuove tecnologie, come ad esempio un microfono ultraleggero (costruito riciclando un attaccapanni di fildiferro) che Kate possa indossare, in modo da avere le mani libere quando danza.

“James And The Cold Gun” dal vivo nel 1979, a Londra. Uno dei pezzi più rock del disco, nonchè uno dei diciassette cambi di costume previsti dal tour

È difficile oggi trovare un’artista che sia riuscita ad avere una influenza tanto pervasiva, duratura e radicale sull’industria musicale e soprattutto sulla cultura musicale della seconda metà ventesimo secolo. Una influenza che si estende anche al ventunesimo, con attestati di stima, da Lady Gaga a Bjork, dai Massive Attack ai Coldplay, e che accomuna i fan che ciclostilano le proprie fanzine nelle cantine degli anni della Thatcher a seri studiosi oxfordiani di musicologia e tecniche di comunicazione transmediatiche. Che tale impatto lo abbia avuto il disco di esordio di una diciannovenne ha del meraviglioso.

Il terzo singolo tratto dal disco di esordio fu “Them Heavy People”, per cui venne girato questo video. Qualcuno dice che il balletto del video di “Bad Romance” di Lady Gaga contiene una citazione della coreografia proprio di questo brano.

E se è vero che il talento, come l’etere luminifero, non può essere visto, toccato o pesato, forse l’esordio di Kate Bush dimostra che, invisibile ai nostri strumenti di misura, il talento tuttavia esiste.

Un nuovo disco, subito!

Ignorato in America perché poco “radio friendly”, The Kick Inside prende d’assalto le classifiche europee e asiatiche. I telegiornali vogliono intervistare Kate Bush, e la EMI vuole immediatamente una seconda uscita. Kate viene sequestrata in studio per incidere un secondo album. Poco entusiasta del trattamento che la EMI le sta riservando, l’artista fonda la propria compagnia, la Kate Bush Music, e la propria agenzia di management, la Novercia, in modo da mantenere il controllo assoluto del proprio lavoro.

Nel 1980, con Never Forever, sarà la prima donna a scrivere, interpretare e incidere un album primo in classifica in Gran Bretagna. Ma prima, il 12 Novembre 1978 vede la luce Lionheart, seconda prova di Kate Bush, inciso in sei mesi - il disco che convince Kate Bush che sarà meglio prendere il controllo completo della propria carriera il prima possibile.

Lionheart è un proseguimento ideale di The Kick Inside, con brani ispirati a fonti letterarie, a Peter Pan e a Pinocchio, ai film della Hammer e ad “Arsenico e Vecchi Merletti”, e a fare da traino, un singolo intitolato Hammer Horror. Una canzone sospinta da pianoforte e archi, su un attore che deve sostituire in scena un collega morto, e si trova perseguitato dallo spettro del precedente interprete; una canzone ispirata a quella volta che James Cagney interpretò Lon Chaney che interpretava il Gobbo di Notre Dame. Una cosina semplice.

Ma questa, naturalmente, è un’altra storia.

Kate Bush nel 1979 è al Festival di Sanremo e canta “Wow”, il singolo di maggiore successo del secondo lavoro “Lionheart”. Poche ore dopo Mike Bongiorno avrebbe annunciato il vincitore del Festival: Mino Vergnaghi, con “Amare”.

Kate Bush David Gilmour 

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