I poeti incazzati tornano a colpire.
Il motivo del perché, dopo quasi quarantaquattro anni di carriera, i New Model Army non sono ancora riconosciuti come una delle band fondamentali della musica rock nell’accezione più ampia del termine rimane un mistero. In quattro decenni non hanno mai sbagliato un disco: pur muovendosi su sonorità ogni volta differenti, hanno sempre mantenuto un’integrità artistica inattaccabile. E poi i testi: quelli dei New Model Army andrebbero studiati uno per uno.
Si prenda ad esempio questa nuovissima First Summer After. Tralasciando l’aspetto musicale (nulla da eccepire, come al solito – ma appunto per loro è uno standard che per altre migliaia di band sarebbe una vetta inarrivabile in quanto gusto nel songwriting), è il testo quello che – ancora una volta – mira al cuore.
Se la press release parla di un road movie con colpi di scena, l’anima riporta a ben altre visioni più reali e concrete: sono tempi strani quelli che stiamo vivendo, anni in cui gli scenari e le vite cambiano radicalmente in un batter d’occhio e ci mettono in una posizione di mezzo tra il prima e il dopo, un reset non richiesto che fa riempire di domande ed è completamente avaro di risposte.
Impossibile quindi non ritrovarsi nelle parole di Justin Sullivan e farle proprie, ognuno con risvolti diversi ma con un senso comune di condivisione che dà calore nel momento più gelido del nuovo secolo.
I New Model Army erano e rimangono uno sguardo amaramente poetico e vivido nei confronti della vita che ci scorre intorno e che pulsa dentro: una band da ascoltare, non da sentire e basta.
New Model Army Justin Sullivan
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