Da Berlino direttamente al cuore.
Non è facile approcciarsi alla creatura di Simon Bonney con i tempi che corrono. Tre dischi in trentatré anni, del resto, sono il segno di una carriera che viaggia su ritmi molto lunghi e appare a tratti, dovendosi conquistare un mondo nuovo ogni volta.
Ma, siamo onesti: quante canzoni intense come Peace in my Time avete ascoltato quest’anno? Il piano e la voce che sembrano scale a salire da un mondo oscuro, archi come corrimano, la voce di Bronwyn Adams come sirena, una batteria più mortifera che marziale. Roba da guardarsi alle spalle, roba da tenere nel cassetto buono e da prendere in mano con un bicchiere di quelli giusti, statura altissima come pochi altri.
Un brano con il quale fare i conti: difficilissimo scrollarselo di dosso. Ti fa rileggere gli anni con occhi diversi, ripassando discografie e tempi andati, inserendovi quest’accolita che negli anni si è trasformata, si è trasferita, si è messa il vestito buono per parlare con noi, pettinandosi fra i chiaroscuri e riprendendosi il posto che le spetta, là, nella galleria dei perdenti maggiori, dei poeti che ricorderanno solo i colleghi e chi ha preso la strada sbagliata.
Ma quando vi troverete a terra, vestiti solo di stracci, oh sì, certo che andrete a ripercorrere queste stesse scale, sperando di sentire anche voi gli archi e il pianoforte a rendere intenso, speciale e vivo quel momento.