New Music

Una volta alla settimana compiliamo una playlist di tracce che (secondo noi) vale davvero la pena sentire, scelte tra tutte le novità in uscita.

Tracce

... Tutte le tracce che abbiamo recensito dal 2016 ad oggi. Buon ascolto.

Storie

A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

Autori

Chi siamo

Cerca...

Un nuovo rodeo sul cavallo di un vecchio paio di jeans.

Ve lo ricordate? Classico pub di frontiera americano. Polvere secca e sudicia nel parcheggio esterno. Fermata dell’autobus che, di autobus, ne saluta a dir tanti uno al giorno. Dentro, sembra notte anche alle due di pomeriggio: whisky, birra e sudore. Tappeti verdi, stecche e palle da biliardo, sguardi diffidenti: se non sei del posto, non sei il benvenuto. Sul palco in mezzo ai tavolacci ti aspetti un trio country o al massimo la cover band degli Steppenwolf. Invece sale quella che probabilmente è la cosa più tamarra del ‘96 (ed è tutto dire, visto che a metà anni Novanta riguardo a cose imbarazzantemente tamarre c’era solo l’imbarazzo della scelta): un ragazzo di colore sfoggia una camicia bianca aperta con la tartaruga addominale in bella mostra, jeans larghi una paio di misure in più così da risultare cadenti e lasciar intravedere l’elastico dei boxer e soprattutto un pacco di dimensioni ragguardevoli verso cui le movenze del balletto fanno costantemente cadere lo sguardo. In pratica, la versione maschile del video di Windowlicker, ma senza la faccia di Aphex Twin sopra. Il contrasto è surreale, il testo a dir poco esplicito e così pieno di doppi sensi che oggi potrebbe probabilmente essere cantato solo su OnlyFans. Elencarli tutti sarebbe esercizio ridondante, quindi ci limitiamo al ritornello: «If you’re horny, let’s do it / Ride it, my pony / My saddle’s waitin’ / Come and jump on it» — non so se ci siamo spiegati.

Gli Slothrust prendono il vecchio successo di Ginuwine e si permettono l’esatto contrario di quanto appena fatto qua sopra. A modo loro, onorano l’originale senza prenderla per il culo, con una sorta di reverenza e rispetto: ne ribaltano le dinamiche sonore, pur continuando a omaggiare il concetto base di antitesi e contraddizione risolta. Laddove un tempo un giovane rapper afroamericano conquistava a suon di sculettate sensuali un’esigente platea di rednecks suprematisti, brutti ceffi con il giubbotto di pelle e vecchie MILF bionde in calore, qui un duo alt rock trasforma un singolone di bombastic R’n’B in una hit grunge con trent’anni di ritardo.

Il basso è così denso e viscoso che sembra grondare caramella mou sciolta da tutte e quattro le corde, chitarre distorte in maniera tanto gonfia non si sentivano dai tempi dei Silverchair di inizio millennio, mentre la batteria guida il tutto senza farsi notare troppo, secondo la lezione impartita ormai qualche decennio fa dagli White Stripes. A un certo punto, salta fuori pure uno stacchetto reggae, giusto per ribadire che prendersi sul serio mai.

Non che sia una novità: gli Slothrust hanno già dimostrato di essere a loro agio nel mettere le mani con malcelata ma cortese ironia sui grandi successi dei Nineties. E anche a questo giro, basta guardare la faccia con cui lo dice per capire che (appunto per rimanere in tema) col cazzo che Leah Wellbaum ti ci farà salire, sul suo Mini Pony glitterato.

Slothrust Leah Wellbaum Will Gorin 

Vuoi continuare a leggere? Iscriviti, è gratis!

Vogliamo costruire una comunità di lettori appassionati di musica, e l’email è un buon mezzo per tenerci in contatto. Non ti preoccupare: non ne abuseremo nè la cederemo a terzi.

Nelle ultime 24 ore si sono iscritte 4 persone!