Musica da un ecosistema (forse) immaginario.
Per darne una “forma verbale”, chi scrive di musica gioca spesso con ipotesi immaginifiche, lanciandosi chi più e chi meno in descrizioni che rappresentano il tentativo di affrontare un’impresa complessa. Da qualche parte bisogna pur partire, insomma, in un interessante parallelo con la composizione e le questioni a essa legate: quali chiavi fanno scattare l’ispirazione, che percorso intraprende la musica quando lascia la testa dell’autore, quanto influiscono sul risultato le suggestioni evocate in chi ascolta e via ragionando.
Argomenti che i Setting (trio americano di polistrumentisti che rinuncia alle parole composto da Nathan Bowles, Jaime Fennelly e Joe Westerlund) paiono aver affrontato nel corso delle rispettive carriere, trascorse in aree confinanti tra folk, post-rock e sperimentalismo, ma soprattutto al momento di mettere mano a qualcosa che ne condensasse lo spirito.
Lavorando tra dimensione acustica e sintetica, l’unione è trovata in un panorama di puntinismo e dilatazioni, di intrecci e ipnosi, che in questo brano evoca un’idea contemporanea di ambient bucolica e risale il corso della storia ai Cluster e al Brian Eno di Another Green World.
Riferimenti importanti che assicurano agli anelli concentrici di Zoetropics un respiro cosmico e terrigno, poiché come per le isole “mentali” del film Solaris, non ha senso chiedersi se si tratti di realtà o illusione. Bisogna abbandonarsi al flusso, perché stanno lì il segreto e il valore di una musica con tutti i crismi dell’ecosistema. Non è un caso.