Libero sfogo per cuori infranti.
Napoleone è senza dubbio una delle penne più interessanti degli ultimi anni: canzone dopo canzone quello che sta creando è un immaginario solido, immerso all’interno della tradizione cantautorale campana. Non si arriva mai però alla copia esplicita, al puro folclore o alla citazione poco curata. C’è un lavoro raffinato che di volta in volta amplia sempre di più il puzzle della sua carriera attraverso uno sguardo personale e sincero.
La forza di Romantico Noir si trova prima di tutto nella melodia, funk dagli accenti blues, che rimanda ad alcuni dei lavori di Pino Daniele: nella potenza espressiva delle chitarre, anche la voce riesce a trovare la sua forma, sussurrando una storia che esplode nel ritornello.
Quasi come se si trattasse di un palcoscenico, il pezzo di Napoleone diventa l’occasione per dare vita a una vera e propria storia interpretata puntando all’eccesso. Un amante deluso, abbandonato, ma ancora perso nel suo amore passionale, non riesce a fare altro se non continuare a ripensare a quella donna che così tanto lo sta facendo soffrire. I pensieri si accumulano l’uno sopra l’altro, sommergendolo, divorandolo, mentre dall’esterno qualcuno prova a distoglierlo dal campo minato di sofferenza della sua mente.
È nella ripetitività della canzone che si trova anche la sua forza, trasformando un dramma interiore, personale, tragedia insostenibile per colpa di un cuore infranto, in un canto liberatorio, uno sfogo che si tinge di noir. Ma in fondo, «femmena, ma tu che vuó? Si comme ‘o diavulo»: tutto si può controllare, ma la passione proprio no.