Affrontare il fuoco mentre il sole si spegne.
La primissima volta che Chelsea Wolfe ha sedotto le coclee del sottoscritto è stata una notte di otto o nove anni fa, quando, durante una festa, nel lasciarsi trasportare da una boiler boom di Maceo Plex, messa in sottofondo a tentar di smuovere il tetto stellato sopra alle nostre teste, si disperdeva dall’impianto un remix di The Warden molto elettronico, suadente nei ritmi e nei sospiri, insomma… dannatamente ipnotico.
Lì è nata una storia d’amore – un’ossessione, più che altro – con i sussurri nel buio, con il folk plumbeo che pare flirtare con l’oltretomba o, più semplicemente, con tutto ciò che si sveglia con il sole che si nasconde.
L’oscura poetessa di Sacramento torna – finalmente – in studio a due anni dallo split album Bloodmoon: I, architettato assieme ai Converge – molto più affine alla sfera goth della cantautrice che al lancinante hardcore dei quattro di Salem – e a un anno dalla soundtrack per X di Ti West, confezionata con l’aiuto di Tyler Bates.
Quello che Dusk rievoca si colloca esattamente al crocevia più significativo della carriera della Wolfe, ossia nel flusso transitorio che parte dai gemiti elettronici e gli istinti ambient pop di Pain Is Beauty e arriva alle pachidermiche ombre goth drone del masterpiece Abyss. Un singolo che raduna le differenze di due lavori cardine sotto i colori di un crepuscolo espiatorio, bagnando il pennello in una tavolozza debitrice all’immaginario del fuoco, che galvanizza lyrics di una decadenza suggestiva, atemporale, a tratti distensiva.
Un contrasto che ribolle costantemente tra gli afflati drone in apertura, le litanie che incantano strofe di una calma indotta, cullate dalla – che ve lo diciamo a fare – magnetica voce di Chelsea, in una sorta di tour apocalittico tra le vie di una città che si sgretola davanti agli occhi, esattamente quando le sei corde rompono la quiete con il fragore di un outro da brividi, tra assoli e sospiri che si baciano sotto una pioggia di macerie che leviga il cielo ardente.
In Dusk c’è tutto il meglio della compositrice californiana, anche quella volontà pop che scende a patti con le tenebre.
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