Ripararsi dall’ombra di se stessi sotto il sole altrui.
Il genio (s)regolato di Steven Wilson continua a stupire e dividere. Come se tutto quello fatto negli anni con i Porcupine Tree e nella sua carriera solista non gli bastasse. Questa fame assoluta di diverso, placata con la creatività e condita con una continua voglia di comporre che chissà da dove gli esce. Il rinnovarsi continuamente, attingendo da nuove fonti di ispirazione cercando di farle proprie.
Ecco allora che Economies of Scale – dal nuovo album The Harmony Codex – è quanto di più anti-Wilson lui abbia mai composto, nell’accezione più nobile del termine. Un Tetris intricato dove vanno a incastrarsi pezzi di Radiohead post OK Computer, trip hop di scuola Bristol, gli ultimissimi Japan, cut and paste e intuizioni eccitanti in fase di mix, per un risultato finale che farebbe piacere agli Everything but the Girl più sperimentali.
Che Steven abbia un ego smisurato non è una novità. Che da qualche parte dentro di lui il fatto di non aver mai realmente cambiato il corso della musica in tutta la sua carriera gli roda parecchio, pure. Ma è innegabile la sua capacità di saper manipolare suoni, idee e intuizioni altrui per riuscire a confezionare qualcosa di personale ogni volta che ci prova. Gli mancherà sempre quel pizzico di diversità per entrare nell’olimpo degli innovatori e, a dirla tutta, ormai siamo fuori tempo massimo. Ma finché la sua ispirazione e il suo talento nel riassemblaggio rimarranno a questi livelli, la sua produzione non sarà mai avara di buona musica.
Ce ne fossero di egomaniaci così.
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