Figli di Robert Smith.
Il problema che attanaglia gli ultimi dischi dei Cure (ma, per esteso, di molti altri, anche in generi diversi – vedi Iron Maiden) è duplice: una produzione pessima e la mancanza di un vero leader esterno (non uno yesman), che in studio stia dietro la consolle e abbia una visione ampia delle possibilità dei brani, suggerendo dove tagliare e dove aggiungere, cosa far suonare davanti e cosa lasciare dietro, gestendo la spazialità del tutto.
Il risultato di questa mancanza è un’omogeneità sterile dove in realtà ci si perde. Piattume, per dirla così. Non a caso molti brani ottimi e superiori agli ufficiali sono stati relegati a B-side. Oppure, banalmente, i bootleg suonano meglio dei dischi. Altrove, ottimi riff e idee si perdono nel resto delle lungaggini.
Tutto questo non succedeva negli anni ‘80, e non è solo una questione di nostalgia canaglia. Si prenda ad esempio questa bella cover dei Now After Nothing: il duo di Atlanta si approccia ad All I Want (una delle vette nascoste di quel doppio a suo modo epocale che fu Kiss Me Kiss Me Kiss Me) in maniera rispettosa, senza stravolgere nulla ma semplicemente aggiornando il sound e rendendolo più moderno. Il risultato è talmente buono che viene da chiedersi perché non ci abbia pensato Tobias Forge dei Ghost a reinterpretarla, uno che di solito è maestro nel prendere vecchi brani e vestirli di nuovo con maestria. Ecco, il paragone con le cover degli svedesi non vuole essere un’offesa per gli americani, anzi: dimostra quanto i nostri ci sappiano fare e convincono al 101%. Per chi non li conosce, un’ottima occasione per approfondire anche gli altri loro singoli in attesa dell’EP di debutto.
Now After Nothing The Cure Robert Smith
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