C’è del nero a Oriente.
Uno dei pro di vivere nell’era di Internet (per parlare dei contro servirebbero dieci lunghi) è avere accesso al mondo. Se la curiosità non manca, basta investire un po’ di tempo ogni giorno (magari sottraendolo allo scrollare passivamente il social preferito) per andare a sbirciare ciò che succede a livello musicale nel mondo. Ecco che allora ci si può imbattere in progetti più che validi, nati in luoghi che a noi occidentali suonavano esotici fino a pochi lustri fa.
È il caso dei taiwanesi Laang 冷, praticamente sconosciuti da noi, che in casa stanno riscuotendo un discreto successo sia a livello di pubblico che di critica, grazie anche alle partecipazioni a diverse colonne sonore per videogame e film, arrivando anche a tenere un tour come headliner in America. Curioso, volendo, perché la loro proposta ha radici profonde nel ben poco commerciale black metal, seppur filtrato da influenze del folklore locale.
Il loro terzo disco è in uscita a novembre, ma nel frattempo non mancano di stuzzicare l’ascoltatore con Baoyu 暴雨, ottimo esempio di black melodico, tendente al sinfonico, con un cantato sofferto in lingua mandarina cinese, dove negli intermezzi acustici vengono usati anche un erhu (una specie di violino “lungo”) e uno zheng (una cetra cinese).
Il risultato, oltre a essere estremamente affascinante, è di impatto sonoro ed emotivo, cattura al primo ascolto e si fa apprezzare per la sua diversità rispetto ad altre uscite del genere. I Laang 冷 ci sanno fare, e potrebbero essere la testa d’ariete che apre la strada verso nuovi ascolti a chi è rimasto incastrato nel solito binomio Europa/America.