Suona forte, suona ancora, Jaimie.
Gli oltre sette minuti di Borealis Dancing ci mostrano la bellezza dei contrasti, di quanto sia affascinante mettere in relazione calma e caos, ordine e disordine, quiete e movimento, precisione e imprevedibilità. Una metafora musicale applicabile a diversi momenti della vita, ma anche semplicemente il gusto di ascoltare ancora una volta la tromba di Jaimie Branch farsi largo all’interno di una sezione ritmica accogliente e talvolta ipnotica.
Un brano che mostra volti diversi, che muta di intensità (ma mai di intenzione) e che ha il potere di avvolgere, come se riuscisse a fermare il tempo. Quello stesso tempo che è stato così breve per l’artista americana, scomparsa un anno fa prima di compiere quarant’anni.
Come tutti gli album postumi, Fly or Die Fly or Die Fly or Die ((World War)) ha dunque l’ingrato compito di fungere da testamento spirituale, ma, in questo caso, rende perfettamente l’idea di come Jaimie Branch intendesse la musica: un jazz popolare pronto a entrare in connessione con altri generi, ritmi e sonorità, servendosi di archi, organi e percussioni, in una ricchezza di opportunità che viene messa costantemente a frutto.
Ci mancherà il suo modo di comporre musica, ma forse ancora di più, il suo modo di concepirla.