Cambiare per non cambiare mai: crescere, mutare, (s)coprirsi.
Stanno tornando gli Islet. Tre anni dopo il loro debutto su Fire Records – una delle etichette più attive negli anni e nelle sue differenti fasi (ricordiamo i tempi in cui da loro passeggiavano Halo Benders e Teenage Fanclub, così come gli Spacemen 3, fino ai Pulp o i Neutral Milk Hotel).
Da Cardiff, ad anticipare il loro imminente album Soft Fascination, ci regalano una Hat Person, un brano che riesce a intercalare melodia, epica, lingo incomprensibile e avvolgente, la voce di una Dea che gioca fra cristalli colorati, portandoci un carico di soffice brillantezza, giocando tra frenate e accelerazioni, mentre il tutto letteralmente fiorisce su un’aria svagata di pop psichedelico.
Un vecchio adagio diceva che cambio di cappello non è cambio di cervello, ma ascoltate con attenzione lo stacco drammatico del brano: tutto si blocca, il clima cambia – sono soltanto 30 secondi ma ci fanno capire come dietro alla luce ci sia sempre il buio e come non tutto sembri quello che in realtà si dimostra. È un gioco, ovviamente, e, come tutti, anche gli Islet sono qui per giocarlo: a tredici anni dal loro primo lavoro, risultano difficilmente collocabili, ipnotici e sfuggenti. Eppure, in meno di quattro minuti, riescono a creare un universo come se fosse la cosa più semplice del mondo. Chissà cosa succederà nel resto del disco.