Il richiamo dell’abisso.
Ci sono dei termini, al di fuori della lingua italiana, che riescono a comunicare qualcosa ancor prima di arrivare al loro significato. Il suono, il calore, la morbidezza o l’acredine, tutto ciò che defluisce nella pronuncia abbozza un resoconto più dettagliato di quanto sarebbe in grado di fare il contenuto stesso della parola. E per tramandare ai neofiti la musica di Forest Swords il solo vocabolo – perfettamente calzante – che ci sovviene è haunting.
Matthew Barnes, un ipnotizzatore seriale, un geniale manipolatore di cervelli e apparati uditivi nascosto dietro l’ombra dei sintetizzatori, annegati in un buco nero di armonia imperfetta, avvenenti dissonanze e pulsanti ritmiche dai pattern appartenenti a una legislazione sonora che proviene da una dimensione parallela.
The Low, l’ultimo, sorprendente estratto dal nascituro Bolted, esaspera quanto detto sopra, teletrasportandoci negli anfratti indefiniti di un abisso mutaforma, tra luci intermittenti e rumori che scricchiolano alle nostre spalle.
Un viaggio sospeso tra passato e futuro, tra percussioni dub che sfiorano il tribale e lo vincolano in modo ossimorico a una sorta di posa solenne, mentre una voce riecheggia in molteplici direzioni e schiavizza le sinapsi, come quel messaggio subliminale che si presenta alle retine per un millisecondo per poi incollarsi a vita al pozzo di materia grigia.
Trame ansiogene, stranamente assuefacenti, come se i maniacali beat di Tirzah respirassero l’inquieta sperimentazione di Ignore Grief degli Xiu Xiu, come se il Tricky di Ponderosa facesse cromare il suo sound nel bel mezzo di una fitta coltre industrial.
Insomma, un bel trip.