Un asso sul dojo e sul palco.
Era il 2000, l’anno dei grandi cambiamenti. Lì ho conosciuto Alessio EDY Grasso, grazie ai trascorsi in casa Wallace Records con Jasminshock prima e Ultravixen poi. Da Catania, con tutta la sua scena noise, fino a Roma, dove si esprime con un lavoro omonimo e solista, in italiano, prodotto da Marco Fasolo.
È cresciuto ed è cambiato Alessio, ed è in grado di sorprendere a ogni sua uscita. Dopo il suo disco lo ritroviamo qua e là con alcuni singoli che sembrano tradurre una certa idea di furia d’antan in format odierni, che esplode come una katana e come la marzialità di un’arte che presuppone concentrazione, forza, impegno. In parallelo con una vita e una società che spinge a trattenere ansie e frustrazioni fino a canalizzarle, così da poter trasformare la loro “danza” imposta nei movimenti uptempo del Samurai.
Pop colorato, aggressivo: pop che può accompagnare a una crescita e a un’esplosione per la quale non ci saranno prigionieri. Le urla di Alessio, il suo vociare più che rap sembra essere un talking blues da milioni di sigarette perfettamente credibile, i beat sono come flash che tagliano la carne, come i colpi che offuscano corpo e mente. Rock? Pop? Rap? Urban? Furia e cazzimma soprattutto, quelle di Alessio, di Heresia (che produce il brano, e fa parte dell’etichetta fondata proprio da EDY, Matrice 17) e di Micaela Pittera, quattro volte campionessa nazionale. Come Alessio del resto, cintura nera, secondo dan, ex campione italiano, musicista sopraffino.