Il miglior antiparassitario? Il punk.
Oh, ma che cavolo sta diventando l’Isola di Wight? La nuova El Dorado della musica indie? O un normalissimo posto che da qualche anno a questa parte gode della protezione di qualche strana reunion di santi devoti più al rock che alle loro faccende religiose?
Le Wet Leg hanno sfondato in maniera istantanea, zompandosi allegramente gavetta e piccoli club, tanto che le platee semivuote, con giusto qualche nerd a svenarsi per quelle cinque canzoni composte in carriera, non sanno manco dove passano.
E i Coach Party? Beh, probabilmente prospereranno velocemente anche loro, esattamente come le succitate compaesane, anche se c’è un piccolo, minuscolo problema di fondo: sono incazzati abbestia. Questo potrebbe complicare le cose, oppure accelerarne il processo in maniera esponenziale – noi optiamo per la seconda.
Ironia ridotta all’osso, pedali distorsori con le manopole girate fino a fine corsa e un modo di spurgare rabbia talvolta (quando va bene) convogliato in schematiche studiate a mente fredda – FLAG (Feel Like a Girl) sputa sui soprusi del maschio manipolatore e sfruttatore tra roboanti, ma compatti, dettami indie rock/grunge (Bully, Wednesday) –, talvolta in bordate punk da tempie gonfie e occhi rigati di capillari. È questo il caso di Parasite, ultimo singolo dal debut KILLJOY: una manata in piena faccia scagliata all’improvviso, da dietro, mentre sei fuori casa e ci sono -3 gradi.
Il songwriting studiato si sgretola, sferraglia acido à la Metz, trasuda hardcore punk, si perde in una pozza di rancore vomitato dalla distorsione vocale di Jess Eastwood, che pare quasi uno spillo a perforarci compulsivamente i timpani con fendenti verbali nei confronti di chi si nutre del nostro benessere, spogliandoci l’anima e raschiando via, un po’ per volta, la felicità per puro – insensato – tornaconto personale.
Parassiti, difatti, che ora rantolano a terra con un proiettile ancora caldo conficcato nella schiena.
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