Fondi di barile pieni di diamanti.
Ci sono traiettorie fortunate e percorsi meno sorridenti. Non conta quanto la tua arte sia apprezzata dalla critica e da musicisti molto più affermati – perlomeno a livello di popolarità – di te: se qualcosa dentro non quadra c’è poco da fare. Magari chiedere un aiuto sarebbe salvifico, ma non sempre si riesce a raccogliere le forze per farlo, ed è un peccato.
Quel 6 marzo 2010, qualcosa deve essere andato più storto del solito per Mark Linkous, probabilmente più storto di tutte le volte in cui i suoi Sparklehorse avrebbero meritato ben oltre che una pacca sulla spalla da chi ne sa ma in soldoni non ti fa mangiare. Peccato, davvero peccato, sia artisticamente che umanamente.
Cosa ci resta della sua vita artistica? Dei dischi splendidi, a cui oggi, tredici anni dopo la sua volontaria dipartita, va ad aggiungersi un album inedito e mai completato che è stato finito da suo fratello e sua cognata ed è in uscita proprio in questi giorni.
The Scull of Lucia (nessun errore di battitura) è una splendida ballata dalle tinte country affogate nel bourbon, in un lo-fi raffinato e carico, dove il cameo alla voce di Jason Lytle dei Grandaddy è il cubetto di ghiaccio che serviva a questo bicchiere per essere buttato giù senza troppi rimorsi. Se è vero che non è dalla sofferenza interiore che viene l’arte, è altrettanto vero che la stessa può alimentarla e amplificare l’urgenza espressiva lasciando da parte imbellettamenti di contorno. In questo Mark era maestro, e a distanza di anni ancora non si intravedono eredi capaci di eguagliare lo spessore proprio della sua (solo apparente) semplicità compositiva.
Per una volta, un’uscita postuma che merita davvero l’ascolto.
Sparklehorse Mark Linkous Jason Lytle Grandaddy
↦ Leggi anche:
Sparklehorse e vent'anni di ferite ancora aperte
Grandaddy: The Crystal Lake (Piano Version)
Elf Power: Undigested Parts
Starving Pets: Bag full of leaves
Vic Chesnutt e la cristallizzazione di un attimo (im)perfetto