Caldo, shottini e inevitabili infatuazioni.
Amore che va, amore che viene, esattamente come i tormentoni: colonizzano le estati, penetrano involontariamente nel cervello, si spengono – nella gran parte dei casi – dopo qualche mese.
Abbinamento azzeccato quello degli Slow Pulp, che modulano al ribasso le alte velocità, scendendo dall’hot rod punk/shoegaze del precedente Cramps, un po’ per l’afa – insopportabile – un po’ perché ogni tanto è bene godersi i momenti, apprezzare quel frizzante senso di libertà e indipendenza che, nonostante gli anni che avanzano, rimane sempre vivido nell’indole della bella stagione.
Slugs è uno scanzonato altarino all’amore e alla sua fugacità, moine alt rock indirizzate alla spensieratezza di baci appassionati e capelli al vento, dediche ingenuamente sdolcinate e sorrisi complici. Riffoni in clean strascinati che acquisiscono un che di distorsione all’attaccare del refrain, un po’ Bully, un po’ Wednesday sotto Xanax, con un testo che non è di certo un lavoro di Pablo Neruda, ma che non ha nemmeno la pretesa di esserlo.
Anzi, Slugs vuole incorporare l’esatto opposto: il minimo indispensabile per la piccola felicità, tradotta in azioni e dimostrazioni d’affetto quasi puerili, ma così folgoranti in quell’istante da riuscire a far sbocciare dalla linearità una canzone che si rifugia nella sempre accogliente casuccia indie rock, non disdegnando le vie più catchy del pop mainstream.
Carburante per gitarelle e raduni attorno a un falò, tutto offerto dalla band del Wisconsin.