La fine dei giorni secondo Elliott.
Perennemente in tour – così come perennemente identificato ancora con il mitico Drinking Songs del 2005 – Matt Elliott è un personaggio che continua a mietere consensi tra chiunque abbia incrociato il suo alone di guru del dark folk cantautorale. In particolare nell’ultima produzione, quando, dalla magica Bristol dei Nineties, è approdato alla musica “narrata” mitteleuropea e soprattutto della Francia (vedi lo spettro di Georges Brassens), nazione dove tuttora soggiorna, in quello che ci piace pensare un otium letterario d’ancient monde.
Se infatti, nella sua carriera solista l’ex leader dei Third Eye Foundation si è diretto verso atmosfere sempre più rarefatte, oscure e intimiste, si può dire che oggi la sua rassegnazione alla fine del mondo è giunta a piena maturazione. Flowers for Bea – complice forse il video che rimanda a Haneke (ricordate Amour?) e Godard – è infatti un’ode allo spleen di chi guarda le cose finire. I rintocchi di sax (non perdetevi la superba versione live del pezzo) irrompono tra piano, chitarra e contrabbasso, in un tripudio lento e suadente dal sapore quasi tomwaitsiano, tutto slowcore.
I fiori, siano essi del male o del bene più profondo, diventano viatici di ricordi, anch’essi in bilico tra il dolore e la beatitudine, sballonzolando in questa ballad meditativa che comunque costantemente sfiora la piacevole reverie. Forse qualcuno lascerà fiori anche per noi, dice Elliott. Intanto noi continuiamo a goderci le sue peregrinazioni verso ciò che ci fa ancora provare qualcosa. In una terra desolata, per legami letterari e di piacevole concomitanza letteraria, dove lasciarsi ancora ammaliare dalla follia del vivere.