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Faye Webster: But Not Kiss
Il saggio di fine anno

Amare, un’inestinguibile contraddizione.

Due anni fa Faye Webster si poneva due domande sul deleterio potere della solitudine e sull’oblio psicologico di un amore non corrisposto. Scorie della pandemia che copulano con la barbara indole di un sentimento tanto forte quanto tortuoso: qualcuno soffre, qualcuno gioisce – o rimane indifferente.

Erano scarabocchi dell’anima abbozzati in Better Distractions, così puri e fragili: c’era quasi da aver paura a toccarli con un innocuo bastoncino di legno. Eppure, oggi, la songwriter di Atlanta sembra aver riacciuffato un equilibrio quasi ineluttabile e una voglia di rappresentare l’amore non più con il cuore ammollato nelle rischiose sabbie mobili di un legame che si crea, ma con occhi distaccati, pronti a osservare il generarsi delle farfalle nello stomaco, nascosti dietro la sicurezza di uno spioncino.

But Not Kiss è ciondolante contraddizione, un romanticismo crescente che si spiaccica con violenza su un muro di freddezza, l’affresco distaccato di una sofferenza pregressa: amare richiede del tempo, soprattutto se si è già capitati nel lato scomodo dell’altalena, e questo Faye Webster lo traduce in piccoli, potentissimi contrasti, nella conflittualità delle parole – «I want to see you in my dreams but then forget / We’re meant to be but not yet» – seguita come un segugio dal botta e risposta strumentale, lieve e dolce quando i power chords puliti esternano la volontà di esporsi, evanescente e dispersiva – tra rintocchi di pianoforte che paiono gocce di pioggia a raffreddare i bollori – nel momento in cui la mano tesa inizia a tremolare e si ritrae, favorendo il tentativo degli «yeah, yeah» – a mo’ di refrain – di esorcizzare un’invisibile tensione interiore.

Che la Webster fosse una delle punte di diamante di quel folto gruppetto di ragazze solennemente devote all’indie pop/folk – Soccer Mommy, Snail Mail, Phoebe Bridgers, tanto per citarne alcune – si era già capito da un bel pezzo, e But Not Kiss lo conferma. Anzi, certifica quel qualcosa in più che, sin dagli albori, luccicava prorompente dall’ugola di Atlanta.

Faye Webster 

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