Che per caso ti è venuta voglia di ballare?
Mai nome fu più azzeccato per i Jungle, che sia per le ritmate reminiscenze tropicali o per la ricerca di una visione ancestrale del beat, di quando bastavano due pezzi di legno, battuti ripetutamente tra di loro, per solleticare i nervi e mettere in moto i muscoli danzanti del mondo.
Ma anche – e soprattutto – per il loro identificarsi come progetto esteso, più che come semplice band: un collettivo di artisti che popola, tipo un formicaio, la fantastica officina neo soul messa su da Josh Lloyd-Watson e Tom McFarland, un posto dalle facciate tappezzate di artwork minimalisti, ma dall’interno pullulante di rampicanti influenze e necessità espressive di vario genere.
Una giungla a tutti gli effetti, insomma, in cui Dominoes trova assonanze nei ritmi, nel calore del funk, nell’istinto primordiale di far vibrare ossessivamente il corpo, ora impossessato da un basso arrembante, da chitarrine pizzicate quasi nu jazz, da coretti in falsetto che girovagano per l’aria, insinuandosi tra le piccole cascate di synth che plasmano un ibrido maculato tra i Jamiroquai in fase di chilling acuto e i SAULT presi bene in disco.
Un’esperienza a tutto tondo, che allaccia il sonoro alla visual art – sin dalle origini parte integrante del concept dei londinesi – con un video, diretto dalla coppia vincente J. Lloyd e Charlie Di Placido, che immortala la trasposizione in movimento dell’assuefacente potere del groove.