Il ritorno di Neddo, vecchio cadavere senza pose.
I vecchi Cadaver, ma quanti ricordi! I bei tempi in cui la pubertà lasciava il campo a una strana maniacalità verso il lato oscuro delle fiabe. E poi abbiamo iniziato a collezionare tutti quei gruppi dai loghi illeggibili, gente davvero messa male. Li ammiravamo a una certa distanza, in attesa di vedere cosa stessero richiamando da quel cielo bianco a cui puntavano il dito. Il ritorno dei morti è uno dei Leitmotiv dell’apocalisse e se lo show business è il mondo reale, è lì che tutti gli zombie stanno tornando, soprattutto nel sottobosco del metal. Gente con le facce inzuppate di rughe etiliche e le mani piene di CD e di vinili manco fossero leccorniosi bottini di carne cruda.
Eppure, c’è una sottile differenza tra le decine di band giovanili che oggi cercano di suonare come i vecchi caproni del death metal e i suddetti decrepiti ovinidi. Basta ascoltare The Age of the Offended. C’è qualcosa nella nuda semplicità di questi riff, una sfoglia epidermica che svolazza via dalle vecchie ossa con una folata di vento uggiolante. La voce di Neddo somiglia al borbottio di un dio sonnacchioso che sogna di buffi esseri chiamati uomini.
Qui non si posa e la posa va intesa come quel residuo basico delle bottiglie di vecchio vino dimenticato in qualche cantina di mummie ammazzate. Non si vuole dire nulla di speciale, ma ribadire vecchi concetti di abbandono e distruzione. Non erano i vaneggiamenti di adolescenti dall’umorismo deviato. Erano preghiere a qualcosa che ancora attende, senza fretta, di alzarsi e mangiarci tutti quando l’appetito gli impedirà di rivoltarsi nella melma della terra ancora per qualche millennio di infernali supplizi e di sogni folli.