Sleazy rock a palla, come se il 1991 non fosse mai finito, almeno nel 2023.
Rock’n’roll, sudore acido, sangue molle, burro d’arachidi scaduto e locali di tufo cotti al sole dell’inferno: ecco la capsula temporale da cui i Buckcherry continuano a menarle al tempo, fregandosene delle etichette e delle nostalgie. La morte non esiste, è il vero motivo per cui un sognatore si aggrappa a una chitarra e tira forte. Le Hell’s Bells di Bon Scott riecheggiano ammende oscure, ma alzate il volume e fregatevene. Dopotutto mentre Charlie fa surf, non è che stia a pensare all’esofago di uno squalo o ai segreti lovecraftiani dell’oceano. Bisogna far brillare la propria luce e sperare che qualcuno veda il piccolo faro nella tempesta notturna prima che il buio si riprenda tutto quanto.
I Buckcherry non hanno inventato nulla, ma sono riusciti a piazzare qualche bel singolo e tenersi in piedi in un tempo in cui fare sleazy rock in America era un po’ come propagandare testi nazi a Disneyland negli anni della cancel culture. Ma la verità è che la band losangelina è paradossalmente sopravvissuta grazie al fatto di essersi mossa in un tempo di magra per il genere. Nel 1990 non li avremmo neanche notati, tra le Guns e Skid Row e un esercito carambolanti di ragazzacci brilluccicosi già nel cestone del nice price prima ancora di urlare “fuck, yeah, ce l’abbiamo fatta!”
Shine Your Light suona dritta in culo a una giornata storta. Ti alzi e ti tuffi nell’afa di un’estate mortifera, in una routine di lavoro merdoso, famiglia che si disintegra e amici scomparsi nell’ultima notte di tregenda che si ricordi. Il quattro quarti tondo, spigolante, un po’ pigro del pezzo è una carovana onirica che ti condurrà al sicuro tra le cosce sudate di un tramonto pieno di rimpianti e di nuove promesse.
Finché morte non ti separi dal vecchio rock, nulla potrà davvero buttarti giù.