Reinventare la plastica ricoperta di ferro.
La cosa più divertente riguardo all’uscita di questo brano è stata la reazione indignata di moltissimi over 40 pronti a difendere la presunta sacra versione originale a discapito della cover in questione. Segno che i tempi ormai sono cambiati: ci si arrabbia per qualsiasi sciocchezza, ma si resta ben incollati al divano quando invece sarebbe il caso di scendere in piazza per qualcosa di concreto.
Sia chiaro, il primo album delle Kittie non era male, ma di certo non è passato alla storia. In fondo era modaiolo, e le Nostre giocavano la carta vincente della band tutta al femminile molto piacevole agli occhi di un metallaro medio che saltava sul carrozzone del nu metal. Simpatiche, carine, a loro modo orecchiabili, con un’attitudine dura che era però parte integrante degli stilemi del genere.
Sono passati ventiquattro anni e la furbissima Poppy mette mano al pezzo più famoso del fu quartetto canadese. Lo prende, lo squadra, lo comprime, lo affoga in quintalate di elettronica pesante in salsa industrial, lo interpreta come andrebbe interpretato oggi, con voce ultrafiltrata e piglio incazzoso quanto basta. “Alternative” da Amazon dirà qualcuno. Forse sì. Anche se…
Le Kittie erano fighe, molto. Ma siamo onesti, pure loro erano “alternative” da hot topic, e ci si ricorda solo di Spit o Brackish alla fine. Quindi anche se Poppy fosse un fuoco di paglia, ben venga la reinterpretazione di quella hit isolata. In fondo ciò che conta a volte è solo intrattenere, e ai Gen Z poco importa dei ricordi di gioventù dei loro padri: loro nel ‘99 manco erano in previsione e prendono ciò che la contemporaneità offre. Anzi, per qualcuno potrebbe essere un modo per riscoprire ciò che fu, come successe con i Machine Head che rifacevano Message in a Bottle dei Police, per esempio.
Poppy: checché se ne dica, gran bel pezzo. La canzone, s’intende.