L’ebbrezza del funk nella testa di un giramondo.
Salire in groppa a un cammello e sincronizzarsi con il moto ondulatorio delle dune del deserto, mentre il cielo abbozza forme mutevoli e cambia repentinamente colore. Chiudiamo gli occhi e lasciamo dondolare il capo avanti e indietro, inebriati – o meglio, strafatti – dal succo proibito di Hot Ghee, ultimissimo pit stop prima della stazione di arrivo di Rajan, in uscita il 14 luglio.
Così come la progressiva transizione dalla madrepatria Dallas alla leggendaria Seattle, l’audace roadtrip innescato da Danny “Lee Blackwell” Rajan Billingsley a.k.a. Night Beats è un pellegrinaggio musicale tra culture, generi, etnie: un blob che rotola dagli Stati Uniti fino all’Est Europa, fagocitando particolari sonori e cambiando aspetto di conseguenza. Non è un caso, difatti, che la camaleontica creatura del musicista di origini texane viva un perenne rinnovamento nel sound, dalle origini garage, via via imbottite di folk rock e psichedelia tamburellante, fino alle passeggiate nei campi sempre verdeggianti di classic rock e blues (Outlaw R&B).
Hot Ghee prova a fare una bella sintesi di oltre dieci anni di sfumature, caricandosi di un’elettricità scostante, attivata dallo sfregamento di migliaia di atomi imbizzarriti che provano a legarsi tra loro. Il risultato? Tanta, tanta roba: lo psych rock dei primi Tame Impala e dei Black Angels aggancia il nucleo del kraut rock, i ghirigori chitarristici dei Khruangbin più movimentati abbracciano il deep funk e l’R&R, mentre il fuzz desertico si teletrasporta in un ibrido atmosferico che congiunge India e Turchia.
Un bel mappazzone, come direbbe Bruno Barbieri. E che mappazzone, diciamo noi. Danny si inserisce tra le insenature di un tale potpourri di influenze battezzando con il riverbero la sua voce nasale e adagiandola, con pinzette da chef, nei momenti più adeguati: un’eco in crescendo qui, un versetto gentile là, senza mai valicare il carrozzone strumentale, vera star del corto targato Night Beats.
Rajan, come già anticipato dall’artista statunitense, sarà una florida fucina di venature, un’esplorazione auricolare del mondo, del folklore, del piccolo paese che respira. Un inno alla diversità e a come questa possa sembrare così unica e identitaria anche in una manciata di minuti di una semplice canzone.