(Ri)conoscersi durante un minuscolo attimo di pace.
Affermare che il post-punk sia rinato implica necessariamente che vi sia, da qualche parte, una lapide con incisa su una data di morte a caratteri cubitali. Ma può mai avere fine un genere musicale? Ci sentiamo di dire di no: come in questo caso, può decisamente affievolirsi, per arrivare poi a rifiorire nel corso degli anni, irrorato non più dalla wave e da pulsioni goth, bensì da un concime alt rock maggiormente ruvido e immediato o – più semplicemente – al passo con i tempi.
Ed è discutendo di tale interessante sviluppo che i Fontaines D.C. vengono a galla come primissimi headliners per descrivere le origini di tale rinvigorimento generazionale e musicale: se non doveste conoscerli, sarebbe ora di svegliarsi dal lungo letargo e fare un ripassone degli ultimi cinque anni.
Grian Chatten, leader dei cinque di Dublino, risbuca dalla foschia irlandese regalandoci un primissimo pezzo in versione solista dal taglio insolitamente cantautoriale. Già con la partecipazione alla raccolta The Endless Coloured Ways: The Songs of Nick Drake, qualche appetito particolare deve essersi generato nelle papille del frontman, ma ciò che emerge realmente dalle vellutate tessiture di The Score è il desiderio di fermarsi per qualche minuto, puntare lo sguardo oltre i vetri di una finestra, osservare il mondo che cammina e concentrarsi per un po’ sulla propria vita, indagare sulla bellezza di un attimo, per poi ripartire.
The Score mastica una malinconia che non è nuova a Grian Chatten (Roy’s Tune, I Don’t Belong, No), ma che viene accorpata in una forma-canzone dall’impronta folk estremamente intimista, dove l’arpeggio della sei corde distende un setoso tappeto su cui si adagiano placidamente un basso e una drum machine dal netto sentore di Radiohead post OK Computer, con l’aggiunta di qualche arco a colmare gli angoli più scoperti.
Un pattern strumentale essenziale, che garantisce al vocione di Chatten di prendere corpo comodamente: un’ugola imperfetta, ma così cangiante al sound dei Fontaines D.C. e così tanto migliorata da A Hero’s Death in poi, che sembra aver trovato qui un habitat ideale per liberare la sua vocalità consistente, ora scioltasi in un ritornello di un’emotività avvolgente e in enigmatiche parole d’amore indirizzate forse a qualcuna, forse a se stesso.
Vivido è il desiderio di rintracciare un equilibrio e una pace interiore – per quanto possa essere oggetto di discussione, ritrovarsi a ventisette anni inondati dal successo e sopraffatti dall’infinità estenuante dei tour può essere una subdola arma a doppio taglio – e il giovane Dubliner sembra aver trovato giovamento in tale ricerca. Così come noi, d’altronde.
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