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A volte è necessario approfondire. Per capire da dove arriva la musica di oggi, e ipotizzare dove andrà. Per scoprire classici lasciati indietro, per vedere cosa c’è dietro fenomeni popolarissimi o che nessuno ha mai calcolato più di tanto. Queste sono le storie di HVSR.

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Cathedral Bells: Better Half
Luminol come se piovesse

Sognanti echi nel rush della modernità.

L’internet, il locus amoenus di ogni accumulatore seriale di musica che si rispetti, torna in aiuto, come suo solito, per rimpiazzare ingombranti ragnatele in qualche spoglio pertugio di cervello, sostituendole con un bel pacco di nuove note dall’altro lato del mondo.

Attenzione, seppur il nome possa rievocare fasi adolescenziali goth o freddi monikers di black metal nordico, i Cathedral Bells coltivano minuziosamente un rampicante dream pop di matrice britannica, scuotendosi le t-shirt sudate per conquistare un briciolo d’aria sotto l’arsura della Florida.

Better Half spreme e concentra in una traccia il succo del neonato Everything at Once, terzo full-length della compagine di Matt Messore, passeggiando a due piedi sulla linea di frontiera tra il rock e il pop, per poi salire su un etereo ottovolante che aggancia gli Eighties, il riffing riverberato e i Cure di Seventeen Seconds alle moderne mareggiate indie/shoegaze di DIIV e bdrmm: un ponte evanescente che riunisce quarant’anni di evoluzione del lato più sognante della musica, con qualche tappa intermedia, per ricaricare le pile, sotto i caldi abbracci di Cocteau Twins e Slowdive.

Ritmi più concitati, segnati da una batteria discepola della new wave, ma affogati negli echi onirici che rigonfiano la bolla sonora architettata dagli americani: una traccia che – seppur non raggiunga i livelli toccati dall’ottima scaletta del precedente Ether – testimonia ancora come il viaggiare con la mente (in musica) surclassi lo scorrere del tempo, rendendo l’antico così dannatamente attuale e viceversa.

Cathedral Bells The Cure Slowdive DIIV 

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