Fratelli di sangue, o forse qualcosa in più.
Mi sono sempre interrogato su cosa possa significare vivere senza un fratello o una sorella, e ogni volta vengo rapito da un’intensa instabilità, una sorta di mancanza di equilibrio, nata dallo scontro interiore tra invidia e compassione. Perchè quell’agrodolce, imperfetto matrimonio di amore e odio radicato alle basi di un legame di sangue così complesso e meraviglioso è un qualcosa che dovrebbero poter assaporare tutti.
Trevor Powers rievoca il suo alias Youth Lagoon per fornirci un’intima, essenziale e personalissima parafrasi di tale inossidabile vincolo, e lo fa con la timida delicatezza di Prizefighter. Cresciuto in una popolata casa dell’Idaho, con tre fratelli a riempirgli le falle del quotidiano, il polistrumentista statunitense colora il pentagramma narrando di risate, cazzotti in faccia («He had knuckles that could make the devil shy»), debolezze, braccia forti, amore inscalfibile.
La bellezza candida del contrasto perenne, spogliata della sua apparente ruvidezza dinanzi alla fruibilità dell’indie pop, qui molto più cantautoriale ed emotivo rispetto alle sperimentazioni psych – a scuola dai primi Tame Impala – di Wondrous Bughouse e al bedroom pop più nebbioso di The Year of Hibernation.
Si palesa il distacco, temporale e stilistico, rispetto a quest’ultimo, in primo luogo dalla voce, allora ammantata sotto coperte di effetti e contaminazioni lo-fi, adesso pulita, limpida, con quell’aura flebile, ma pungente che rende tutto educatamente toccante, in secondo luogo da una risintonizzazione stilistica che capta satelliti dream pop e slowcore. Non a caso, la morbida silhouette del secondo estratto da Heaven Is a Junkyard affonda i piedi nella penombra – e candele accese – dei Cigarettes After Sex, così come nell’evanescenza sonora dei Beach House, pur appellandosi a un’indole tutto sommato terrena, a cui poter incollare uno storytelling intimista, colmo – nella sua concisione – di vividi sentimenti, figli di scene di vita comune, raccontate da Powers con la voce rotta di chi tenta di preservare e rispettare con cura attimi intoccabili, sacri.
Un pianoforte al centro della stanza, un basso e una batteria appena accennati. Cantare di ciò che, invisibile, costruisce e forgia i basamenti dell’amore familiare non ha bisogno di null’altro.