Rutilanti arpeggi di tastiera e melodie poppy-core, nel tentativo di mitigare la disperazione dilagante in ognuno di noi.
C’è un inferno per tutti noi, qui o nell’altra dimensione. Ci sono persone che vivono esistenze terribili e altre che si domandano quanto sia triste l’aldilà se l’ascensore in cui saliranno dopo morti, anziché prendere i piani alti, inizierà a scendere dove il fumo è più fitto e tutto sa di uova marce da millenni. Secondo gli Amity Affliction – fautori di questo inno metalcore arzigogolato di tastiere e incentrato su una melodia tormentosa che ripetono con insistenza – siamo già tra le chiappe di Satana, tutti quanti indiscriminatamente. La noia, la depressione, la solitudine possono solo essere spiegate come venti implacabili che dal freddissimo inferno soffiano sulla nostra anima.
E mentre i diavoli ci pungolano la schiena con insinuanti accuse di inadeguatezza e di svalutazione, conducendoci sempre più avanti nella mòta dell’autodistruzione, la musica aleggia sopra di noi, come una promessa di salvazione e di sollievo spirituale. Ok, forse per qualcuno il metal-core non è propriamente la versione più attendibile di questo messaggio confortante, ma un brano del genere mostra di saper correre sulla lama tra la disperazione e la rivalsa, e per questo merita la filodiffusione nella bolgia sociale in cui siamo stati heideggerianamente gettati.
Significativo il video che accompagna il brano. Non si vedono zombi, donne che piangono scivolando su un muro di mattonelle insanguinate e tantomeno demoni che urlano morte in faccia all’obiettivo. C’è gente che si abbraccia, un pubblico che educatamente fa mosh con un piglio quasi francescano, come accalcandosi alla mensa serale dopo una dura giornata di dispiaceri e di freddo nordico che domina le sottane. E così la musica degli Amity Affliction levita lungo la parete gastrica e libera il gozzo dal reflusso senza pietà che corrode le nostre grida di obiezione. Tené!