Bussando alle porte del paradiso psichedelico.
Per chi apprezza gli Swans non ci sarà mai momento buio. Questo è quello che Mr. Michael Gira è riuscito a trasmettere nell’ultimo decennio dei cigni, corso dopo corso, formazione dopo formazione, divenendo emblema di una di quelle band che negli anni sono riuscite a surclassare il loro status quarantennale (1982, New York City – si legge nelle origini biografiche).
Ecco che qui, infatti, configurati come animalacci parodici da fattoria (forse orwelliana, chissà…) tornano un po’ di personaggi che hanno da sempre ruotato intorno al panorama art/experimental e, in particolare, nella trilogia che era culminata con il mi(s)tico The Glowing Man: Pravdica, Hahn, Puleo e compagnia bella. Mica male, considerando quella macchina che era diventata questa line up dal vivo.
Paradise Is Mine, però, riprende i toni – più miti e sempre psichedelico-meditabondi – dell’ultimo Leaving Meaning, lasciando da parte i tripudi più noise e heavy. Si parte con il consueto mantra, nota fissa che sembra ormai ripudiare qualsiasi cambiamento armonico, con Gira che si prodiga a fare proseliti della sua religione a tema fattanza oscura, probabilmente ancora una volta libro sacro del loro sedicesimo album in studio, The Beggar, in uscita per Mute / Young God Records il prossimo 23 giugno (pubblicato su doppio vinile con un codice download per accedere a 44 minuti di musica aggiuntiva, inclusa anche nella versione CD del disco). Per chi apprezza gli Swans, dicevamo all’inizio, un must d’acquisto.
↦ Leggi anche:
Swans: It's Coming It's Real