La luce che trapela dal vischio.
«O vento que lambe as miñas feridas dà il nome a tutto il nostro nuovo album. È il canto della luce. Quella che mentre scrivevo i suoi testi mi ha dato una visione che mi ha aiutato a rialzarmi e guarire». Così si esplicita tutta la cura nei confronti di se stessi e del prossimo da parte dei Sangre De Muérdago (“Sangue di vischio”), gruppo dark folk galiziano che ha saputo fare breccia nei cuori di molti. Soprattutto quelli che popolano festival come il Roadburn (quest’anno sono artists in residence e fanno tre concerti in quattro giorni all’interno del programma).
L’intimità della proposta, ancora una volta, acuita dal video davvero home-made (in tutti i sensi), è all’ordine del giorno. Il canto galiziano si arricchisce dei timbri caratteristici delle precedenti produzioni della band, arrivando a una delle sue vette – probabilmente – più malinconiche ed efficaci, in un brano che difficilmente riuscirà a non ammaliare i palati più sensibili.
Pablo Camiña Ursusson – già attivo nella scena punk locale del nord-ovest spagnolo – ci parla qui del vento, dell’aquila, del rondone, della gru e della fenice, della loro luce, capace di suggerirci un modo per non mollare. O vento que lambe as miñas feridas è un pezzo che ci sentiamo di consigliare per i momenti più opprimenti: potrebbe davvero illuminare il vostro animo e la vostra pelle.
«Con le aquile e i cirri, con le gru e la fenice / Con il vento che abbraccia il mio essere / Lascia che lecchi le mie ferite / E nonostante la sofferenza, il mio cuore ama ancora / Ancora oro / Così, in una nuova alba, sembra che finalmente io / Ho trovato la mia strada».