Urla rock’n’roll come fosse il passato, offuscato da un presente sacrale.
Gli HSTNS, già Houstones, si sono stabilizzati in quartetto e, grazie al supporto di Marco Fasolo (ex Jennifer Gentle), presso la Fabbrica di Losone, hanno iniziato a elaborare il progetto di un album che si sta svelando a poco a poco, singolo dopo singolo, video dopo video.
Holy è il quarto di una serie aperta da Ittero e continuata da Adderal ed Aristocrush. Rispetto alle loro precedenti incarnazioni, da quando Serena Maggini e Maurizio Cuomo si sono affiancati agli storici Saul Savarino e Joel Pfister, il suono si è fatto più colloquiale, ravvicinato, caldo. Maturo in qualche modo, senza sembrare la brutta copia rock di qualche epigone grunge o stoner, ma lavorando di cesello per proporre una propria visione della materia.
Mica facile: di Kurt Cobain ce n’è stato uno, tra Josh Homme e John Garcia è finita come sappiamo e i Mudhoney resistono ma nessuno capisce quanto enormi siano.
E allora, che una band come gli HSTNS continui su questo solco, a delineare una precisa identità e peculiarità stilistica (musicale, visuale, progettuale), non può che renderci curiosi rispetto alla globalità del loro progetto. All’angolo ci saremo, birra sgasata in una mano, cenno del capo non appena si metteranno a scaricare gli strumenti, movimento oceanico durante i concerti. Il singalong da sbornia triste è vicinissimo, a noi gestire emozioni e tasso alcolemico: l’importante sarà non sorridere troppo, tormentati per ogni cosa che possa accaderci. La colonna sonora è assicurata, da questo momento a quando spegneremo la radio una volta parcheggiata l’auto.
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