La band che non ci meritiamo.
Il problema di buona parte della scena italiana attuale è il concetto di “alternativo”. Se è vero che il mainstream tanto se ne frega e va avanti, sembra che, da noi in particolare, quelle uscite che dovrebbero in qualche modo contrastare ciò che passa la radio siano indissolubilmente legate al passato, per quanto underground. Difficile trovare qualcosa che davvero si discosti dai padri fondatori di alcuni generi – che si parli di Joy Division, Sonic Youth o Nine Inch Nails – quasi come se non ci fosse altro oggi.
E invece c’è.
Non rinnegando minimamente gli ascolti adolescenziali, i romani Dipso (gente che ha già suonato in altre realtà in passato, vedi Rewild) sanno benissimo quello che gira negli ascolti fuori dai nostri confini, con un occhio di riguardo per la Terra d’Albione. Come gli Idles, gli Italia 90 o i Sleaford Mods, i Dipso attingono da ciò che fu, ma non ne fanno una copia carbone: riprendono in mano un certo modo di fare musica con i nervi più che con i selfie.
Desire è viziosa, nervosa, asfissiante, malata, diretta, uno di quei pezzi che convince, cattura, e ti fa chiedere perché questi ragazzi non siano già su qualche cartellone nostrano equivalente a Glastonbury. Poi ci si pensa un attimo, si guarda chi c’è al Rock in Roma e tutto diventa amaramente più chiaro.
Fatto sta che questo è un gran pezzo e meriterebbe più ascoltatori. Fate come una volta e usate il passaparola: gli amici veri e tutti quelli che amano la musica come si deve vi ringrazieranno.