Il tono è marziale, l’attitudine più scura del solito: tra cielo e terra, tra il bianco e il nero.
Hanno avuto un cammino discografico abbastanza stitico, dati i tempi di iperproduzioni autarchico-artigiane del rock/metal anni ‘20, eppure i Deathstars seguitano a vivere e morire appesi a un filo di tensione creativa seducente e promettente. Angel of Fortune and Crime sembra muoversi tra il bianco dell’alba e il nero del peggior incubo mortifero mai avuto. C’è epicità, marzialità e disperazione. E un brano con così tanti risvolti è merce rara in questi tempi fatti di plagi più o meno autorizzati dalla mania collettiva per ciò che è stato.
Angel of Fortune and Crime ha l’andazzo dei Dimmu Borgir di Puritania e il melodismo teutonico dei Blind Guardian. Si regge su un riff neanche troppo fantasioso ma che pesa sul cuore dell’ascoltatore e, come un’ancora arteriosa, sprofonda in un oceano di pesci morti e tesori dimenticati, incagliandoci in una sterpaia di immagini apocalittiche un po’ glitter e l’aria della sera più atomica.
Viviamo tempi disperati e non pensiamo che gli angeli stiano ancora cercando di fare il loro dannato lavoro con noi poveri figli di un Dio folle. E forse Lui ha abbandonato anche i suoi soldati pennuti e transgenderici. Il ritornello canta la loro fatica e rinfresca di sangue nuovo il bisogno che hanno di medicarci ancora le ferite, suggerirci cose carine da fare e soprattutto condurci davanti allo specchio lurido di cacche di mosca come la nostra coscienza. Amen!
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