Gente che porta la pessima novella: messaggi sociali da ascoltare a volume brutale.
Se noi esseri umani siamo solo un brutto virus prossimo a estinguersi con l’organismo stesso che ci ospita (la povera Madre Terra), i Cattle Decapitation sono il senso di colpa fatto pentagramma. Nelle frange più estreme del metal aleggiano ramanzine e lavate di capo più che nel cantautorato. I riff intricati, le ritmiche millimetriche e il growling implacabile rappresentano spesso il travaglio interiore dell’anima nostra. E dopo due anni di COVID, molti gruppi sono tornati più amareggianti che mai a rinfacciare inutilmente alla propria specie i suoi errori, intonando e tuonando sulle impenitenti declinazioni verso la distruzione e la malaria sociale dell’insetto sapiente.
Come un gigantesco orso intossicato di succo di frutta, i Cattle Decapitation mugghiano la fine prossima ventura, mostrando in un videoclip d’ordinanza gli scenari potenziali di un’apocalisse disgustosa e terribile. Apocalisse intesa come punizione divina e non rivelazione, sia chiaro. L’ente deluso che ci ha dato tutto – vita, casa, fiori, zanzare e narcisismo – sta guardando il trenino umano con uno stanco ghigno e non fa davvero nulla per impedirgli di raggiungere il declivio per cui l’ha creato egli stesso.
Scourge of the Offspring, però, non è la colonna sonora dello scenario conclusivo di una storia di merda e sangue, sperma e fango, ma del travaglio interiore di chi ha ben capito – l’uomo – cosa sta provocando e cosa lo attenda, e tuttavia non riesce a salvare se stesso da una così funesta proiezione. Il brano infatti non si limita a pungolare lo stomaco con le solite mantellate selvagge di doppia cassa e borbottare maledizioni in palm mute, ma scosta il sipario sull’abisso con una tetra melò-dia finale con cui vezzeggiare i mosconi che faranno il nido dentro le nostre cavità acustiche. Evviva!