Riaccendere il rogo tra vecchi Sabbath e danze paniche in riva al fiume di sangue
Era ora che tornassero i Blood Ceremony. Sono passati sette anni dal loro quarto disco, che sembrava il finale con il botto dell’ennesima occult rock band implosa dentro qualche rituale pasticcione. Invece rieccoli dalle fredde selve canadesi a scivolare, in groppa al solito riff sabbathiano, sul nevoso sentiero che porta all’albero torto, dove le streghe si ghiacciano i piedi a recitare litanie incomprensibili per l’annoiato capro nero.
The Rogue’s Lot è un beat-rock irrequieto e progressivo, con le radici sprofondate sotto una coltre di ossa guerresche e le luccicanti foglioline che lambiscono la barba del cielo, svolazzando tra scale flautate e fresche litanie irriferibili. Alia O’ Brien è sempre la birbante fattucchiera che domina la piazza dei roghi. Carezza il suo piffero con le dita affusolate e vi spande lascivamente il solito grasso di mandra-soup.
Il pezzo inizia in modo piuttosto sinuoso, facendo pensare alle note di chitarra come elettriche larve che salgono lungo le coscione bianchissime della megera Alia, ma dopo un ritornello prepotente e che fa sbandare la ritmica verso territori più epici, arriva un’accelerazione che sa di incantesimo attivato. La batteria si sbriciola in una marcia di scheletri, prima di spaccare in due il riff e spararlo verso il cielo. Bentornati, ragazzi, ci siete mancati.