Ritornare a casa, armati di tamburi e spezie.
A luglio ci prenderanno per mano portandoci con loro a Bolgatanga, mentre oggi si limitano a servirci una piccola porzione del loro dub trip con Microdosing. Quasi interamente strumentale, giusto il vocio a raccogliere i dispersi iniziali, poi sono flash e danze.
Nuovo disco in dodici anni, ritornano a casa anche in termini di etichetta, nella On-U Sound di Adrian Sherwood (c’è lui infatti, qui, ai controlli). Bonjo Iyabinghi Noah parte dal Ghana, e tutto intorno c’è quello che ha fatto grande il dub. Ripetizione (il brano dura meno di quattro minuti, basta ascoltarlo 15 volte di fila per passare un’ora di caldo e plastico movimento), equilibrio fra tradizione e modernità, echi, strumenti che toccano l’anima e la voce interiore di ognuno di noi a salmodiare sulla propria personale versione.
African Head Charge porta il messaggio dal 1981 e non sembra per nulla intenzionato a fermarsi. Qui non si sposta però, ma ci invita da lui. Sta a noi muoverci, fare quattromila chilometri gambe in spalla per capire ancora una volta come entrare in comunione, come entrare a casa.
Casa vuol dire conforto, riposo, libertà. Famiglia, posse. Si riparte riprendendo Voodoo of the Godsent in mano e rileggendo quanto scritto dal compagno Giancarlo Turra, mentre aspettiamo tranquilli. All’album mancano circa due mesi: quattro minuti alla volta fanno poco meno di ventiduemila ascolti – direi la giusta somministrazione, microdose dopo microdose.
African Head Charge Adrian Sherwood Bonjo Iyabinghi Noah
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