Un proiettile fumante nel cuore della morte, mentre gli occhi riprendono a vivere.
«The death-filled rider / Came up on a spavined horse / And trampled through our home / But we didn’t do anything / ‘Cos no one owes anyone».
Checché se ne dica, la morte è indubbiamente l’avvenimento più complesso da fronteggiare lungo tutto il tortuoso tracciato dell’esistenza umana. Esaminare in vita la mancanza di vita, osservare il vuoto generarsi laddove, fino a poco prima, c’era pulsante certezza e tangibile metamorfosi.
Una cittadina ormai tramutatasi in deserto, il luogo scelto (idealmente) dai Protomartyr per un ritiro volontario, per studiarsi dall’interno, per evolvere: Make Way, primo estratto dall’atteso Formal Growth in the Desert – uscita prevista per il 2 giugno – seziona il doloroso corridoio dell’elaborazione del lutto, puntando le luci dei riflettori sulla porzione più ostica da portare a termine, quella dell’accettazione. Qui si decide brutalmente chi va avanti e chi annega nelle sabbie mobili di ricordi lancinanti, e i quattro di Detroit, condensati in una comunione artistica e spirituale sotto la figura del frontman Joe Casey, reduce dalla perdita della madre, hanno deciso di serrare i denti e proseguire, con un pezzo che inscena sullo spartito quel netto distacco che si interpone tra il soffrire e il riconoscere una perdita: un taglio secco, come un coltello che sbatte violentemente sulla superficie e separa due estremità apparentemente inscindibili.
Di conseguenza, il riflessivo post-punk degli americani, ora meno politico e molto più introspettivo, trova in un nervoso dualismo il nuovo protagonista della pellicola, che va biforcandosi in uno spaesato calderone di mesti bendings e timidi arpeggi, a colmare le tormentate strofe, fatte defluire dal vocione baritonale di Casey, e in una deflagrazione elettrica che si libera in aria allo scoccare del ritornello, potente e liberatorio: «Make way», un urlo ripetuto, rintocchi perentori che fanno vibrare le corde vocali di un uomo che stava per affogare, riuscendo poi a salvarsi da solo.
Un uomo che ora chiede solamente un po’ di spazio dinanzi a lui, affinché le cose riprendano a fluire naturalmente, affinché si celebri il passato girando gli occhi dalla parte opposta, guardando quel che verrà.
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