Equilibrio marziale su ghiaccio sottile.
Il metal progressivo esprime gli aspetti più nerboruti e bellici del prog rock: tematiche esistenziali o bucolico-allucinate, scialacquo di proprietà tecnicistiche e la ripetitività fine a se stessa all’insegna di una nostalgia autistica verso quel passato che timidamente, tra Ryche e Theater, ha inciso la propria storia su e giù per le classifiche saettoniane.
Gli Ice Age non fanno eccezione, sia chiaro. Non vanno da nessuna parte, si limitano a ripercorrere i territori disboscati un tempo da Rush, Fates Warning, Symphony X e Kansas, ma lo fanno con una certa ispirazione di fondo. La loro non è mai una dimostrazione di abilità piaciona e votata all’impressione. Ogni nota produce enfasi epica, esattamente come la saga che questa band ha ripreso dopo vent’anni di pausa e che vorrebbe risprigionare nei vostri lobi aurinferi.
Le ritmiche sincopate, le scale vistose e le melodie disperi, sostengono la voce di Josh Pincus, pelatastiere dall’incedere ottavinico ma in stile falconiano, nel senso dei Falconer, ferrigna band sottovalutata e degna di recupero.
Lasciate correre i minuti verso le aperture più liriche di The Needle’s Eye. Dalla coltre di rovi in battere e levare esplodono inni soleggiati che vi scalderanno i geloni del cuore.
Ice Age Rush Queensryche Dream Theater
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