Una band che offre ancora le spalle a Itaca, non sazia della propria odissea progressiva.
Gli Enslaved sono tra le poche band metalliche a non essere ancora tornate dal proprio viaggio verso la crescita spirituale e la ricerca creativa. Qualcuno minimizzerà, semplicemente riducendoli a una delle tante band progressive, e in fondo lo sono, ma non si tratta solo di questo. I loro dischi sanno di intemperie terribili, hanno occhi segnati da cose indescrivibili viste in albe lontane e raccolgono nella rete da pesca strani esseri che qualcuno potrebbe definire pesci solo perché sono stati tirati fuori dal mare.
Forest Dweller inizia come una meditazione rarefatta dedicata al sole, mentre una renna soffia caldo vapore nella carcassa di un morto dimenticato. Le grinfie del black metal arraffano a vuoto, guidate dalla cieca violenza dei guerrieri affamati, ma si tratta di un momento: il brano si anima e come un uccello sguilla verso le labbra spietate dell’inverno. Il soffio spropositato della notte sospinge i vecchi drakkar della nostra pigra coscienza verso montagne strane, che sembrano essere sorte in una notte, frutto dell’ispirazione di qualche dio frettoloso.
E quei monti di arpeggi nebbiosi, picchi insanguinati, dalle cui vette laminate il sole cola giù la propria omertosa emorragia luciferina, nascondono qualcosa che non siamo ancora pronti a vedere, ma che possiamo già ascoltare tra le note irrequiete di un (tutto sommato) gran pezzo come questo.
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