Centomila colpi di spazzole prima di andare a dormire.
Come nelle più banali macchiette domestiche, prima si accontenta la moglie e poi si possono fare le proprie cose.
È divertente pensare alla coppia Lombardo come a una specie di Sandra e Raimondo, ma a conti fatti a chi ascolta di queste cose dovrebbe fregare poco, perché è la musica che conta (a meno che non siate fan di David Gilmour, e allora lì si che dovete stare più attenti a ciò che dice e fa Polly Samson, perché è da quello che dipende la vita artistica del marito – un po’ come Sharon con Ozzy, solo un filo meno fritto dagli eccessi).
Dopo quarant’anni di gloriosa carriera e millemila progetti, è giunto il momento – per colui che ha suonato sui dischi migliori degli Slayer – di pubblicare il suo primo album solista, di cui questa Journey of the Host è il delizioso antipasto. Come era prevedibile, il brano è fondamentalmente un solo di batteria, con percussioni stratificate e miscelate che spostano continuamente il baricentro del brano rendendolo una trottola atipica, che invece di rallentare varia apparentemente a caso intensità e velocità. Una serie di fills e intuizioni ritmiche che non nascondono affatto le peculiarità dello stile di Dave, ma che mai come ora sono le uniche protagoniste di un brano atipico, coraggioso e curioso: sembra quasi un ardito riabbracciare il concetto che stava alla base di The Grand Vizier’s Garden Party di Nick Mason (su quel capolavoro che era Ummagumma dei Pink Floyd), portandolo però su tutto un altro livello. A dirla così sembra semplice, ma è musica complessa, quella suonata da Lombardo, che richiede attenzione e tempo, come solo i grandi percussionisti sono riusciti a fare (qualcuno ha detto John Bonham?).
Alla luce di questo brano – sognare per sognare – un duetto con quell’altro genio incompreso di Budgie (Siouxsie and the Banshees, Creatures, di gran lunga il batterista più poliedrico e inventivo di tutto il post-punk) sarebbe davvero incredibile.
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