Il troll (involontario?) che fa sempre centro.
Young Signorino è una delle schegge impazzite più interessanti comparse ultimamente. A prescindere dai gusti e dai giudizi critici in punta di ca… lamaio, la sua trap risultava mille volte più genuina e credibile di tutta quella uscita in terra italica (che già di per sé può solo spazzare per terra a quella americana, sia per contenuti che per soluzioni sonore). Perché i monosillabi, i loop sconclusionati e l’immagine-non-immagine plasticosa erano lo specchio crudo, sopra le righe, esasperato dell’adolescente anni milaventi. Altroché.
Un troll? Forse. Ma terribilmente efficace e molto intelligente nel suo voler sembrare stupido. Torna oggi e rovescia le carte: fiuta l’aria e tra serie TV che ripropongono nerovestiti sia nelle colonne sonore sia nei personaggi pacchiani, capisce che l’adolescente è diventato maggiorenne e ha abbandonato una moda per abbracciarne un’altra: il ritorno della darkwave fatta al PC. Ammettiamolo, è un continuo fiorire di band-minimal-goth-electro-cippa-lippa ormai. Basta una base, un duo, un giro di note trito e ritrito et voilà, la darcheria è fatta. Lui lo sa, lo ha capito, e fa saltare nuovamente il banco. Perché Flames Inside – nel suo essere realmente catchy – sputtana (senza volerlo?) la seriosità di buona parte della musica oscura fatta oggi. Fatta, non “composta” o “suonata”. Della serie “ma allora ci vuole davvero poco poco”. E risulta migliore o perlomeno uguale alla roba proposta da gente come Lebanon Hanover, She Past Away e compagnia bella, apparentemente senza sforzo.
È l’intenzione più che il brano in sé a far riflettere: non è che troppe volte si è gridato al miracolo per cose che oggettivamente miracolose non erano? Non è che si è perso ormai il minimo giudizio critico per dividere ciò che è arte dal semplice intrattenimento? Perché se le cose vanno dette, ‘sta roba non è altro che la vera (triste, ma vera) voce della generazione attuale. Vuota, spaventata, anaffettiva, superficiale, triste, dipendente da psicofarmaci regolarmente prescritti e condivisi con mamma e papà, che vive realmente il “no future” di cui si parlava più di quarant’anni fa, ma che non ha nemmeno voglia di porsi il problema.
Young è un troll involontario? Forse. Di certo è uno che sa quando come e dove infilare il coltello nelle pieghe dei preconcetti che ubriacano le chiacchiere, mainstream o alternative che siano. Rimane uno dei personaggi (magari non come “musicista”) più interessanti degli ultimi anni.
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