Il mondo che divora la carcassa di se stesso.
Spingersi all’estremo, guardare oltre l’ordinarietà tutta lustrini e paillettes che tanto ci piace vivere. Esistere come fantocci inanimati, gettati subdolamente in pasto a una realtà che fa di tutto per apparire bellina e con il taglio di capelli rifatto, rimane alquanto indigesto ai nostrani Stormo, abituati a spingersi verso i confini delle cose e pronti, con gli stivali buoni, a infangarsi tra le melmose riflessioni di Endocannibalismo.
Con il terzo singolo estratto – title-track del primo album per Prosthetic Records – la band di Feltre dipinge brutalmente il meccanismo della mutazione: un processo di morte e rinascita del cosmo e di noi stessi, una sorta di sacrificio propiziatorio, necessario per il destino di un pianeta ormai marcio e a un passo dal precipizio.
L’acido della voce di Luca Rocco cola corrosivo da una strumentale che si distacca dalle sfuriate post-hardcore e screamo che colonizzano gran parte della discografia dei veneti, mostrando più lentamente i denti affilati con un noise punk sorvegliato dall’arrugginito andamento groovy dei Converge di Under Duress, mentre il basso di Federico Trimeri scolpisce con lucida violenza una claudicante marcia orrorifica che penetra nel profondo. Non rapidamente, ma con sadica e ragionata efferatezza.
Salvare l’anima, purificare. Parole che sembrano ormai sepolte sotto il peso di un pragmatismo dilagante, ma che dovremmo riprendere in mano se teniamo, anche solo un minimo, al nostro futuro.