Oscure allucinazioni ipnagogiche.
La calima è un vento afoso carico di sabbia del Sahara che satura l’aria e deforma i confini delle cose. Ramon Moro è un musicista dalla sensibilità prismatica per il suo modo di imprimere una spinta di personale decostruzione della materia sonora, tanto nei progetti solisti quanto in quelli condivisi (con Paolo Spaccamonti e Stefano Pilia, solo per citarne alcuni). Calima è anche il nuovo album di Moro, il cui titolo presenta da un lato una forte connotazione concettuale mutuata dal particolare fenomeno ventoso delle isole Canarie, dall’altro una profonda marcatura metafisico-esoterica che guarda all’isola di Lanzarote come topos immaginario di una discesa negli anfratti dell’inconscio.
Stratified Ritual è la traccia iniziale, il viatico oscuro per interpretare l’umano dualismo ontologico, ovvero il canale di collegamento che nutre allo stesso modo spirito e animalità, pietà e cieca efferatezza. Negli oltre otto minuti, Ramon compie un lavoro complesso di ripartizione del brano in segmenti che acquistano gradualmente una consistenza vischiosa, simile a sangue rappreso lungo il mesmerico incedere di ancestrali giaculatorie.
La prima parte è un fluido ambient in cui la tromba si fonde con un tappeto immateriale nelle cui fibre lentamente si fa spazio un growl di derivazione black metal, gelido come i luoghi dell’esilio di Burzum. A questo punto il sipario si alza e fa irruzione l’irrazionale scandito dal ritmo cadenzato di voci sovrapposte, a invocare l’oscenità del sabba di creature ctonie. Il risultato è quello di una messa in scena della nuda vita, affascinante come la sacralità dell’uomo, deificato dalla sua stessa libertà e da quel male che cerca di farsi strada dentro di lui.