Progressive-djent metal con le idee piuttosto chiare su dove andare a parare.
I Periphery praticano il progressive-djent metal e rivendicano un ruolo pioneristico, al riguardo. Ora, bisogna prima di tutto capire cosa si intenda con la parola djent, che è inserita anche nel titolo del loro imminente settimo album (Periphery V: Djent Is Not a Genre). Si tratta di un’onomatopea, emessa per la prima volta dal chitarrista dei Meshuggah, Fredrik Thordendal, per spiegare il tipo di musica suonato dalla sua band. Djent è il suono che emette la bocca quando simula una chitarra in palm mute. Per sapere cosa sia il palm mute, vi rimando all’apposito link o qui non la finiamo più e questo pezzo viene una quaresima.
Comunque, al di là del contesto creativo in cui i Periphery hanno deciso di confinarsi, Wildfire offre sprazzi ampi di sole tra le maglie trinciacarne delle chitarre stoppate e scapocciose, che è una tipica caratura del djent. Senza le chitarre che fanno djent non c’è djent. Però poi arriva il progressive, e quindi la melodia, moderna, tra Incubus e Coheed & Cambria, ci risolleva dalla solita pappa ipertecnica.
Il ritornello prima spara tutto tra le stelle e poi plana il brano al sicuro su un letto di borbottii pianistici jazz da locale notturno borghese, fatto di cocktail dal nome impronunciabile e fighe di legno che sorridono allo specchietto del trucco. Poi immaginate che entrino dei tizi incappucciati con i passamontagna e il fucile a canne mozze. La violenza sommerge tutto il tempo di qualche sparo e poi lo sguardo di chi ascolta, ispirato da viole e violini impetuosi, vaga tra i corpi sanguinanti e i bicchieri frantumati. In sette minuti tutto questo è un viaggio mentale ed emotivo davvero niente male.