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Geese: Cowboy Nudes
Dannati pirati della strada

Un’irriverente danza sulle ceneri del mondo.

Mani in tasca, in piedi alla fermata dell’autobus. Gli occhi, nascosti dietro alle spesse lenti degli occhiali, assumono un’espressione di un piattume arreso, sopraffatti dalla monotonia del quotidiano e dai tanto necessari quanto noiosi rapporti interpersonali. A un tratto lo sguardo che si alza, una pioggia di meteoriti in arrivo, pronta a portarci via tutto quello su cui poggiamo i piedi. Un sorriso inizia a rigarci la faccia.

«I wish that the end could’ve come a little sooner», con questa riga piuttosto esplicativa ci si ripresentano davanti i Geese, band rivelazione di NYC, a riconfermarci quanto fondamentale sia il distruggere l’obsoleto per riiniziare a vivere. Cowboy Nudes balla di gusto sulla lapide di un mondo ormai sorpassato, traslando l’art rock trasformista che tuonava nel fulminante Projector verso la comfort zone di zampillanti sonorità indie rock.

Viene meno l’acidulo del “pizzicato” – à la Squid di Bright Green Field – di Gus Green, per far spazio a un più abbordabile riffing in legato dalla consistenza più morbida, da cui si diramano decise le influenze southern rock – interessante il timido utilizzo del sitar – e art folk, habitat ideale per il camaleontico cantato di Cameron Winter, bagnatosi in battesimo nelle sacre acque di Talking Heads, Television e, guardando tempi più moderni, degli Strokes di Julian Casablancas. Insomma, un singolo ben riuscito, da ingordigia incontrollata – il tasto replay è ormai bello che consumato – accompagnato da un video spassosissimo, in tensione tra inquietudine lynchiana e la pungente critica sociale di Black Mirror.

Grande ritorno, quindi, quello degli enfants prodiges dell’alt rock americano (ricordiamo infatti, per chi non li conoscesse, che si tratta di ragazzi appena usciti dalle scuole superiori), che, nonostante un solo album all’attivo, perseguono un processo di affinamento e maturazione come se navigassero ormai da anni e anni nel mare mosso del music business.

Il futuro del rock è decisamente in buone mani.

Geese 

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